Con una decisione davvero inattesa – vista la cupezza del tempo presente - il Consiglio di Stato (V sezione, decisione n. 5345/11, presidente Baccarini, estensore Saltelli) ha accolto l’appello dei radicali contro la abnorme sentenza con cui il Tar Lombardia aveva pervicacemente rifiutato di occuparsi delle firme false a sostegno della candidatura di Roberto Formigoni a governatore della Lombardia.Si legge nella sentenza che sarebbe bastata una “serena lettura” degli atti di giudizio per avvedersi non solo della ammissibilità della iniziativa giudiziaria di Marco Cappato (che aveva contestato dapprima la irregolarità delle autenticazioni delle firme, salvo scoprirne addirittura la falsificazione in un momento successivo) ma anche della fondatezza delle sue accuse.

Il giudice amministrativo di appello fa addirittura un passo in più: non solo afferma che la denuncia sulla falsità delle firme avrebbe dovuto essere esaminata e positivamente accolta dal Tar, ma lamenta di non poter purtroppo immediatamente e direttamente disporre la necessaria perizia sulle firme, dovendo invece – alla luce dell’attuale ordinamento – attendere la decisione del giudice civile, il solo a poter conoscere delle così dette questioni di falso.

Per questa ragione il Consiglio di Stato si rimette alla imminente decisione con cui la Corte Costituzionale (la discussione è fissata per il prossimo 4 ottobre) deciderà se l’accertamento della falsità di documenti nei processi elettorali debba restare prerogativa dei Tribunali Civili - con una lentezza incompatibile con la celerità del processo elettorale - oppure possa essere rapidamente svolta dai Tar, in modo che l’accertamento di inquinamenti elettorali si possa tradurre, nel più breve tempo possibile, anche nell’annullamento delle elezioni e così da dar corpo al principio della effettività (cioè della concreta possibilità di raggiungere i suoi obiettivi) della tutela richiesta da chi invoca giustizia.

E’ auspicabile che la Corte Costituzionale rimuova l’attuale rigidità del sistema di competenze e attribuisca – come è logico che sia - al giudice del procedimento elettorale tutti gli strumenti necessari a svolgere in fretta ed efficacemente la sua missione, inclusa la perizia sulla falsità, che appare forse la più ignobile delle forme di inquinamento delle elezioni e rimuova così ogni ostacolo al rapido annullamento delle elezioni lombarde (l’esito della consulenza sembra infatti scontato, alla luce della perizia di parte già agli atti del giudizio).

Forse è proprio nella consapevolezza della imminenza potenziale dell’annullamento delle elezioni regionali che Roberto Formigoni insiste per le immediate elezioni primarie nel Pdl: sicuramente meglio parteciparvi da governatore che da ex governatore spodestato e sbugiardato dai giudici.

Ironia della storia, infatti, la sentenza giunge contemporaneamente al suo rinvio a giudizio per diffamazione: scoperta la falsità delle firme Formigoni non trovò infatti nulla di meglio che avanzare il sospetto che i moduli fossero stati addirittura contraffatti a bella posta dai radicali.

In questo quadre appare sconcertante il silenzio dello schieramento di sinistra, che di fronte a una tale catena di eventi, in un “paese normale” dovrebbe invocare dimissioni e nuove elezioni: difficile non pensare che l’imbarazzata afonia del Pd dipenda da ingombranti scheletri nell’armadio.

Questa volta il Consiglio di Stato restituisce dunque onore alla nostra giustizia amministrativa e dimostra che – seppure in grado di appello – il nostro sistema giudiziario può ancora produrre anticorpi democratici alla devastante degenerazione politica che ci corrode. Ma chi potrà mai restituire l’onore perduto alla politica?