Nonostante l’idea diffusa di una Chiesa come istituzione rigida e arcaica, l’adagio latino «Ecclesia semper reformanda est» ha strutturato gran parte della storia ecclesiale. L’interazione permanente tra la tradizione della Chiesa e la cultura di ogni momento storico-sociale ha costretto l’istituzione ecclesiale a essere in un processo di continua riforma. La frase latina spiega anche la sua sopravvivenza in un arco di 2000 anni.

Tuttavia, l’idea di una Chiesa in un continuo processo di riforma è diventata anche, soprattutto a partire dal concilio Vaticano II e alla luce dell’evoluzione post-conciliare, un vero e proprio rischio: il rischio che tale idea diventi una giustificazione per la quale, essendo la Chiesa sempre in via di riforma, il cambiamento non giunge mai in porto. Talvolta, la promessa di riforma sembra ricalcare il Godot dell’opera di Samuel Beckett, tanto atteso ma mai del tutto presente.

Questa riforma à l’attente è particolarmente evidente nel caso del ruolo dei laici nella struttura ecclesiale. Sebbene prima dell’apertura del Vaticano II, nel 1962, i movimenti militanti avessero già trasformato parte della presenza e della missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, il concilio ha nutrito una speranza di cambiamento del ruolo del laicato, speranza ancora inconclusa. Da allora, si sono occasionalmente aperti diversi dibattiti su questo tema, forse l’ultimo di notevole rilevanza intorno ai cosiddetti viri probati (uomini sposati, riconosciuti dalle comunità di riferimento, da ordinarsi preti) durante il Sinodo per l’Amazzonia nel 2019. Tuttavia, la struttura ecclesiale ha continuato a essere profondamente segnata da dinamiche clericali, che a loro volta hanno conosciuto emorragie devastanti, in particolare in Europa occidentale. Attualmente, il modello clericale è poco sostenibile a livello sociologico in contesti come la Spagna. In questo Paese, nel marzo 2021, è balzata ai media la notizia che il numero dei seminaristi era sceso a 1066, la cifra più bassa della storia. Nel 1965 c’erano 8079 seminaristi per un Paese di 32 milioni di abitanti. Oggi superano di poco il migliaio in una Spagna che conta 47 milioni di abitanti.

A marzo 2021 i media hanno riportato che il numero dei seminaristi in Spagna era di 1066, la cifra più bassa della storia. Nel 1965, quando il Paese contava 32 milioni di abitanti, erano 8079. Oggi la Spagna conta 47 milioni di abitanti

In questo contesto, ormai più di un anno fa, tra il 14 e il 16 febbraio 2020, si è tenuto il Congresso dei laici, una grande iniziativa organizzata dalla Commissione episcopale per i laici, la famiglia e la vita della Conferenza episcopale spagnola (Cee) e avente per titolo Popolo di Dio in uscita, una rievocazione dell’invito di papa Francesco a una «Chiesa in uscita». Diversi media, soprattutto ecclesiali, hanno coperto l’evento che tra laici, preti, vescovi e religiosi ha riunito più di duemila partecipanti a Madrid. Gli ottanta gruppi di lavoro hanno concentrato le loro esperienze e riflessioni su quattro temi: primo annuncio, accompagnamento, formazione e presenza dei laici nella vita pubblica. E tre chiavi di lettura: sinodalità, discernimento, presenza nel mondo, come si può leggere in un comunicato della diocesi di Barcellona.

Il Congresso, in questo modo, è riuscito a rendere visibile la pluralità della Chiesa in una società laica come quella spagnola. Inoltre, un’analisi dei diversi laboratori e gruppi di lavoro permette di osservare la presenza in essi di gruppi ecclesiali «classici» fino a proposte religiose innovative con presentazioni degne di un qualsiasi esperto di marketing, come i gruppi giovanili Hakuna (vicini all’Opus Dei).

Il Congresso ha sollevato la necessità del dialogo tra la Chiesa e una società laica, un desiderio particolarmente evidente nella veglia di preghiera che ha ospitato anche la testimonianza di Carlos García de Andoin, fondatore del gruppo dei socialisti cristiani e costruttore di ponti tra la società laica e la Chiesa. È sembrato, cioè, che il respiro della cosiddetta «primavera di Francesco» avesse raggiunto la Chiesa spagnola e in particolare i laici, tanto silenziati quanto silenziosi nella struttura ecclesiale degli ultimi anni. Il 16 febbraio 2020 il Congresso si è concluso ed è iniziato il lavoro di diffusione dei suoi risultati nelle diverse diocesi, congregazioni, parrocchie ecc., nonché la ricerca di modalità per realizzare i risultati a cui si è giunti.

Era il mese di febbraio e il virus sembrava lontano. Poi è arrivato marzo e con esso la pandemia che le nostre società stanno faticosamente tentando di lasciarsi alle spalle. Ma anche, recentemente, l’annuncio da parte della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi dello svolgimento di una consultazione che precederà il Sinodo di ottobre 2023 in Vaticano. Anche per questo, allora, vale la pena chiedersi che cosa resta del Congresso dei laici cattolici in Spagna.

È passato un anno, un anno turbolento. Il Congresso appare lontano, ma si è provveduto perché non rimanesse nell’oblio di quel tempo sfocato e lontano che ci sembra il periodo pre pandemia. Nel 2020, venne annunciato che il Congresso si sarebbe ripetuto ogni tre anni. In concomitanza del suo anniversario, nel febbraio 2021 è stato organizzato un seminario virtuale: Rivivere il Congresso per ravvivare il processo, con l’intento di ricordare e incoraggiare quello che si è vissuto in quei giorni. Una pagina web, oggi aggiornata e ben strutturata, è diventata un punto di incontro dove si condividono documenti e notizie che tengono viva la fiamma congressuale. Insomma, nonostante la pandemia, sembra che una certa fase «post-congressuale» fosse già iniziata, nella quale il discernimento è centrale.

Tuttavia, anche alla luce della storia recente di una Chiesa in cui le riforme si sono coniugate meglio al gerundio che al participio, occorre chiedersi quanto fosse preoccupante che questa fase fosse già cominciata. Infatti, la necessaria lentezza del discernimento può sempre diventare un pretesto per riaddormentare la trasformazione della struttura ecclesiale, soprattutto tenendo conto di quel precedente che è il grande processo contenuto nel documento del 1991 Laici cristiani, Chiesa nel mondo che da allora è stato più una road map che un programma compiuto.

Una certa fase post-congressuale era già iniziata, ma occorre chiedersi quanto fosse preoccupante, poiché la lentezza del discernimento può diventare pretesto per riaddormentare la trasformazione

Di preoccupante, nel post congresso, c’era (e c’è) il rischio di riportare la Chiesa a speranze incoraggiate e incompiute, in un momento, peraltro, in cui si accumulano le sfide per la Chiesa spagnola di fronte all’accelerazione della trasformazione socio-religiosa della società e il movimento centrifugo dei cattolici dalla struttura ecclesiale agli spazi extra ecclesiam. Alla citata emorragia nei seminari, si aggiungono la perdita di fiducia da parte della popolazione spagnola nella Chiesa e il consolidamento del processo di secolarizzazione, che in questo tempo di pandemia è sembrato accentuarsi, come aveva previsto Jean Claude Hollerich, il presidente delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, nel settembre 2020.

Nel corso del post congresso e del suo, peraltro necessario, tempo di discernimento e di arresto della pandemia, è emerso anche il rischio di una progressiva perdita del clima respirato durante il Congresso. Risaltano quindi due questioni al fine di una Chiesa che intende assumere pienamente il titolo di «popolo di Dio in uscita».

In primo luogo, «in uscita» si riferisce all’incontro con la società in cui si trova la Chiesa, in questo caso quella spagnola. Le dinamiche di «primo annuncio» proposte dal Congresso sembrano lontane dalle preoccupazioni e dalle sensibilità di una società spagnola che, come detto, sta attraversando un forte processo di secolarizzazione. È urgente generare spazi di riflessione, dibattito, lavoro congiunto, forum tra la Chiesa e i diversi settori del contesto spagnolo, gli spazi culturali, i movimenti sociali e tutti coloro che oggi compongono la società e che sono sempre più periferici rispetto al cattolicesimo.

È urgente generare spazi di riflessione, dibattito, lavoro congiunto, forum tra la Chiesa e i diversi settori del contesto spagnolo, che oggi compongono la società e che sono sempre più periferici rispetto al cattolicesimo

In secondo luogo, «popolo di Dio» si riferisce alla speranza ecclesiologica del concilio Vaticano II, nonché alla necessità che una Chiesa ancora clericale in molti dei suoi spazi sappia rispondere a una società e a tanti cattolici che si sono profondamente de-clericalizzati. Il Congresso è stato un’importante boccata di ossigeno, ma la riforma della Chiesa ha bisogno anche di strutture valide e reali che non la rendano occasionale.

A questo proposito, colpisce che ancora oggi la Commissione episcopale per i laici, la famiglia e la vita della Cee, pur avendo abbandonato la sua vecchia denominazione (Commissione episcopale per l’apostolato secolare) nel 2020, continui a essere composta esclusivamente da vescovi e da un prete. In questo senso, la Chiesa spagnola dovrebbe analizzare il numero di laici pienamente integrati nelle strutture di governo, decisione e gestione di ciascuna delle diocesi e parrocchie spagnole. Perché l’intero iter del Congresso non rientri unicamente tra i buoni propositi, che indubbiamente ci sono, questa forse dovrebbe essere la prima profonda riflessione, d’altra parte senza rilevanti implicazioni teologiche, per una vera integrazione del popolo di Dio nella Chiesa, cui si può lavorare a tempo pieno. La scarsa presenza di laici a completa disposizione della Chiesa rafforza la struttura clericale poiché, alla fine, tutto continua a dipendere dagli unici membri della Chiesa che possono risultare interamente a sua disposizione, cioè, a oggi, principalmente chierici.

In definitiva, è essenziale avanzare nella formazione di un popolo di Dio che conosca e sappia farsi carico della Chiesa, uno sforzo congiunto tra le laiche e i laici, il clero, le religiose e i religiosi. Senza che questo sia concepito come una forzatura o una minaccia data dalla secolarizzazione, ma come un richiamo alla creatività in fedeltà alla tradizione perché la riforma della struttura ecclesiale, a differenza di Godot e di riforme che si aprono senza mai chiudersi, faccia della Chiesa spagnola un popolo di Dio in uscita nel mezzo di una società secolarizzata.

 

[traduzione di Antonio Ballarò]