Chi sono i componenti della classe dirigente del Movimento 5 Stelle? Quali caratteristiche «sociologiche» hanno? In che modo la genesi e la selezione di questa nuova classe politica influenza l’attuale crisi di governo?
Partiamo dal primo tema, in ordine logico e cronologico: la «sovrapproduzione delle élite». È, questa, la locuzione con cui Peter Turchin ha descritto la condizione di una società che genera un numero eccessivo di potenziali membri dell'élite rispetto alla sua capacità di assorbirli nelle strutture del potere. Fatto, questo, che è causa di instabilità sociale poiché coloro che sono rimasti senza potere entrano in una situazione di squilibrio di status. Persone, quindi, che non si trovano allo stesso livello in tutte le gerarchie sociali (titolo di studio/ceto e professione) e occupano una posizione alta in una e bassa in un’altra.
Le informazioni, perlopiù aneddotiche e non sistematiche, sulla provenienza della classe dirigente del Movimento sono compatibili con questa descrizione. Si tratta, spesso anche se ovviamente non sempre, di appartenenti al ceto medio, spesso laureati e con ambizioni di mobilità sociale e di carriera «frustrate». Potremmo definirle come «carriere bloccate di ceto medio». Al contempo, si tratta di persone in costante comparazione con gli altri che «ce l’hanno fatta», ma senza particolari meriti. Persone, quindi, in alla prese con una grande deprivazione relativa: individui che credono di aver ottenuto meno di quanto loro dovuto, non in assoluto, ma rispetto ad altri che invece ci sono riusciti, vuoi perché dotati di risorse economiche di classe e familiari, vuoi perché più capaci di sfruttare il capitale sociale e culturale. Persone, quindi, inserite in ambienti relativamente dinamici, che generano opportunità di carriera, da cui però loro si sentono e sono esclusi. Un altro tipo di carriera bloccata che caratterizza i 5 Stelle, è quella politica. In non pochi casi e contesti territoriali, si tratta di persone che si erano avvicinate ai partiti di centrosinistra e con ambizioni «dirigenziali», ma senza successo. Anche qui «carriere bloccate», assenza di ricambio delle classi dirigenti, immobilismo e presidio delle posizioni, che generano delusione e rabbia tra gli esclusi.
Una massa di individui frustrati, però, non è da sola sufficiente a generare un movimento politico: tra micro e macro devono essere all’opera elementi di organizzazione del consenso. Troviamo qui il ruolo svolto da Grillo e Casaleggio, così come la funzione aggregante del web e quella di effervescenza collettiva e generativa di valori condivisi ricoperta dai meet-up, veri e propri rituali d’interazione situata. Grillo e Casaleggio hanno svolto il loro ruolo come imprenditori politici e morali: hanno cioè identificato un nuovo equilibrio morale a partire da un'insoddisfazione diffusa, e su questa hanno costruito una nuova narrazione basata su trasversalità ideologica, disintermediazione e tecno-utopismo. Il ruolo della propaganda digitale è stato cruciale nel raggiungere gli elettori giovani e giovani-adulti, che costituiscono parte importante della prima ondata del Movimento: «[...] l’analisi del potenziale elettorale del movimento di Grillo ha fatto emergere un profilo preciso dal punto di vista socio-demografico: i potenziali elettori del M5S nella primavera del 2012 sono sovra-rappresentati rispetto alla media nelle fasce di età giovanili e centrali (26-35, 36-45) e sotto-rappresentati tra gli over 65, sono sovra-rappresentati tra i diplomati e sotto-rappresentati tra chi non ha nessun titolo di studio» (Dati Cise/Luiss). Il garante di questo zoccolo duro è Alessandro Di Battista, che si è ritagliato il ruolo di amministratore delegato dell’eredità morale del movimento e della sua prima base elettorale. Per la classe dirigente del Movimento attualmente al potere, invece, l’agire morale ha confini molto angusti. Lo squilibrio di status e la deprivazione relativa ne alimentano il cinismo, lo scarso rispetto degli impegni assunti, l’uso della morale come bandiera ma non come bussola. In questo quadro si inserisce la critica di Alessandro Di Battista e il suo capitale simbolico. La contraddizione tra la narrativa costituente e il cinismo della sua classe dirigente attuale crea equilibri fragilissimi interni al Movimento. Giuseppe Conte è, in questo senso, una duplice garanzia: tra 5 Stelle e Pd, ma anche all’interno del Movimento. Per questo Matteo Renzi l’ha messo nel mirino: disarcionare Giuseppe Conte significherebbe spezzare l’alleanza tra il Movimento e il suo ex partito, ma anche e soprattutto generare un conflitto interno ai 5 Stelle, riportando al centro della scena Alessandro Di Battista, refrattario ad alleanze con il Pd. Situazione ideale perché Matteo Renzi torni a svolgere un ruolo centrale, che un abbraccio stretto tra Movimento e Pd all’insegna di Conte metterebbe definitivamente nell’angolo.
Riproduzione riservata