Ho conosciuto Guido Martinotti all’inizio degli anni Novanta, quando al Mulino mi occupavo dei libri di sociologia. Nel 1993, infatti, pubblicò il suo testo forse più importante, certamente il più noto. Metropoli. La nuova morfologia sociale della città (poi seguito, sei anni dopo, da La dimensione metropolitana: sviluppo e governo della nuova città, da lui curato), quasi vent’anni dopo quella prima pubblicazione, resta un testo fondamentale per chi voglia comprendere le dinamiche di sviluppo della dimensione urbana in un quadro di crescenti interdipendenze tra centri e periferie.
Su di me, che avevo lasciato da pochi anni gli studi universitari, la lettura del manoscritto del libro (che nella prima edizione uscì con una bella sovraccoperta verdolina su cui molto, con l’autore, si discusse) ebbe un effetto notevole. Il tentativo, riuscitissimo, di ribaltare definitivamente tradizionali categorie interpretative del classico approccio dell’ecologia sociale (incluse tutte le analisi che collegano forme spaziali con le popolazioni insediate in un determinato territorio), lo portò a presentare in rassegna, analizzandoli, i diversi tipi di popolazione che erano, e sono, in competizione per lo spazio urbano. Da lì uscì la categoria dei «city users», pendolari certo, ma più in generale individui che, giungendo da fuori, usano la (e abusano della) città. Sin dalle prime pagine, vennero fuori così quelle che lo stesso Martinotti chiamava le «contraddizioni del fenomeno metropolitano».
In un modo o nell’altro, tutti siamo «city users». E, in mancanza di una ricerca analoga aggiornata almeno a tutti gli anni Duemila (nel libro molte analisi si fermano a metà degli anni Ottanta), quel lavoro resta fondamentale non solo per i sociologi, ma più in generale per tutti coloro che sono attenti alle mutazioni del vivere urbano e alla qualità della vita urbana.
Come molti oggi riconoscono, dopo l’improvvisa scomparsa di Martinotti avvenuta la notte scorsa a Parigi, il sociologo milanese deve essere ricordato per molte altre ragioni; per l’impegno civile, per i diversi incarichi ricoperti in Italia e all’estero (Fellow e Visiting professor di numerose università e centri di ricerca, dal 1985 è stato con regolarità Visiting nel Dipartimento di Sociologia della University of California di Santa Barbara). Ma qui ci piaceva ricordarlo per il libro che volle dare al Mulino.
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