Quasi un anno dopo le elezioni, è ormai evidente come Olaf Scholz non intenda modificare il suo stile nel guidare il Paese e in politica estera. Vale a dire asciutto, tecnico, privo di una visione complessiva, forse per via del motto di uno dei suoi maestri, quell’Helmut Schmidt che a chi gli diceva di avere, appunto, una visione consigliava, sornione, di andare dal medico.
Lo scorso febbraio, con il celebre discorso sulla Zeitenwende, il cancelliere sembrava aver acquistato spessore e una prospettiva di lungo periodo; tuttavia, con il passare del tempo, non è riuscito a declinare la svolta, trasformandola in un coerente progetto politico. Scholz ha prestato il fianco ad attacchi – come quello sulla presunta titubanza nell’invio di armi – che hanno, da un lato, riaperto le vecchie critiche sull’immobilismo tedesco o addirittura sulla presunta complicità con Mosca e, dall’altro, hanno impedito di sviluppare un discorso davvero critico sui limiti della strategia tedesca. Mi riferisco alla proclamazione di una Zeitenwende resa necessaria dall’attacco russo, ma che non va oltre la reazione a questo attacco, senza (ancora) provare a immaginare il mondo di domani che, come Scholz ha ribadito anche in un intervento sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» lo scorso 18 luglio, «non sarà più uguale a quello di ieri».
Il 29 agosto Scholz ha tenuto a Praga un discorso confermando il suo stile. Quanta differenza con l’intervento di Joschka Fischer alla Humboldt nel 2000: se questi era stato capace di immaginare e di proporre una vera federazione europea, l’attuale cancelliere sembra più attento a indicare i prossimi passi, evitando qualsiasi forzatura retorica e progettuale. Se Fischer sapeva muoversi nella ricostruzione storica e nelle sfide che attendevano l’Unione, il discorso di Scholz si concentra scolasticamente su alcune parole d’ordine come bussole per il prossimo futuro.
Non va, però, dimenticato che il discorso di Fischer venne perlopiù ignorato e che per salvare il continente ci volle il pragmatismo di Angela Merkel codificato nel Trattato di Lisbona. Forse è il caso si analizzare il discorso di Scholz provando a decifrare quello che il cancelliere riporta tra le righe e tra i dettagli del suo intervento.
È già significativa e altamente simbolica la scelta di Praga, che testimonia come il baricentro politico dell’Ue si sia spostato a Est. Ma se poco meno di vent’anni fa furono sottovalutate le conseguenze dell’allargamento, sulle quali Fischer aveva insistito, oggi è la guerra di Putin che impone di prendere seriamente in considerazione le preoccupazioni di questa parte d’Europa. «Chi cerca le fonti d’Europa, arriva necessariamente in questa città, il cui retaggio e figura sono tanto europee come difficilmente altre città del continente». Apparentemente retorica, la frase è di per sé programmatica e annuncia che l’Europa non si è allargata a Est ma è semplicemente tornata a casa. È questo anche il senso del richiamo alla Tragedia della Mitteleuropa di Milan Kundera, che lamentava come dopo il 1945 «l’Est fosse sparito dalle cartine dell’Ovest».
La linea di demarcazione in Europa non è più tra Nord e Sud: c’è una faglia più complessa tra Est e Ovest e Scholz sa bene che la Germania è sempre al centro di queste faglie
La mia impressione è che Scholz stia cercando di politicizzare questo spazio, la Mitteleuropa. La linea di demarcazione in Europa non è più tra Nord e Sud, tra l’Impero latino e quello germanico, come durante le crisi del 2008-2015. C’è una faglia più complessa tra Est e Ovest e Scholz sa bene che la Germania è sempre al centro di queste faglie, investita del ruolo, complicato, di mediatrice, Macht in der Mitte, potenza al centro. Ma a differenza della contrapposizione Nord-Sud, quella Est-Ovest chiama in causa un rancore di tipo diverso. Così Scholz: «L’esperienza dei cittadini dell’Europa centro-orientale – la sensazione di essere stati dimenticati e abbandonati dietro una cortina di ferro – ha un impatto ancora oggi».
Da un lato perché questi Paesi non hanno mai sentito davvero di essere parte della famiglia europea ma, al più, tollerati e obbligati a un adeguamento ai valori europei. Dall’altro perché sulla questione del gas si consumava l’idea che, nonostante la caduta del Muro e la fine dell’Urss, la priorità degli occidentali continuasse a essere il rapporto con Mosca e che solo attraverso la Russia fosse pensabile una loro piena cittadinanza nell’Unione.
Da qui la prima di quattro considerazioni di Scholz: «L’allargamento dell’Ue ai Balcani, all’Ucraina, alla Moldavia e in prospettiva anche alla Georgia». Proposta che necessita di riforme istituzionali: il superamento del principio dell’unanimità («Cominciamo dagli ambiti dove già ora parliamo con una sola voce, ad esempio la politica delle sanzioni o i diritti umani») e la riforma del Parlamento e della Commissione. Il tono delle proposte e il cauto ottimismo («Se arriviamo alla conclusione che dobbiamo cambiare i trattati perché l’Europa vada avanti allora dovremmo farlo») possono sembrare ingenui, ma è proprio la proposta dell’allargamento a garantire al cancelliere una chiarezza di fronte ai concittadini dell’Europa orientale, spostando il problema di eventuali obiezioni agli Stati di quella occidentale.
Necessaria poi una “sovranità” europea, seconda considerazione del cancelliere. Tuttavia, oltre alla concessione lessicale a Macron che per primo aveva usato il termine, la declinazione della sovranità è quella tedesca dell’autonomia strategica. E, cioè, aumentare la cooperazione in tutti i settori strategici per il continente: la sanità, il digitale, i processori, gli armamenti, l’energia. Sulle politiche per la difesa, proprio grazie ai cento miliardi annunciati, la Germania modifica il suo ruolo tradizionale e si candida a guidare il processo di europeizzazione delle forze armate.
Più che una nozione giuridica di sovranità magari di tipo federale, Scholz propone un più concreto modello industriale europeo (la cui tenuta e promozione è la vera sfida di questa fase), con la precisazione che «indipendenza economica non significa autarchia», con l’incremento di ambiti comuni di intervento.
Si dirà: poca cosa. Ma se Scholz parla di “allargare” (a Est) e di un modello industriale comune, il discorso di Praga è un invito ai Paesi dell’Est non tanto a aderire a un progetto istituzionale – che per sua natura richiederà tempo – quanto a immaginare uno spazio economico e politico nel quale la Germania si propone come garante. Occorre prendere sul serio, dunque, il richiamo a Carlo IV e alla prima università tedesca della quale già Friedrich Neumann indicava l’anno della sua fondazione, il 1348, come tappa della preistoria verso la nascita politica della Mitteleuropa (uno spazio, da non dimenticare, a geometria variabile).
Se «economico» significa investimenti per le infrastrutture strategiche, «politico» esprime, invece, l’opposizione ai progetti autocratici di Putin: lo spazio, per ora, quindi, se non apertamente ostile alla Russia, si propone quantomeno come argine di sicurezza contro ipotesi di revisionismo neoimperialista (russe ma non solo, terza considerazione).
Da qui il richiamo finale agli studenti e alle studentesse che il 17 novembre 1989 misero in moto la rivoluzione: Quando se non ora? Chi se non noi? L’Europa di oggi è figlia più che mai di quel processo, non è semplicemente un allargamento ma un vero ritorno a casa.
La contropartita chiesta da Scholz è espressa nella quarta e ultima considerazione: il rispetto dello Stato di diritto. Per la formulazione apertamente vaga che ha assunto («Sosteniamo gli sforzi della Commissione per lo Stato diritto» ma anche: «Non dobbiamo litigare di fronte a un tribunale», un modo per dire che la composizione deve essere politica e non affidata alla Corte del Lussemburgo), il cancelliere si candida a un nuovo rapporto con tutto l’Est europeo, che altera anche il rapporto con il resto del continente, sul quale Scholz esercita una pressione perché segua la rotta tedesca. E al quale promette politiche più flessibili senza dimenticare però che «abbiamo bisogno di un accordo, vincolante, su come ridurre gli alti livelli di debito». Tema molto caro a Scholz: l’eventuale sviluppo dell’unione fiscale dipende dalla riuscita di Next Generation.
Se non è un progetto politico alternativo, è la chiara consapevolezza della rilevanza del ruolo tedesco come garante dell’equilibrio tra le varie “faglie” e, in prospettiva, un accordo a oriente appare più fecondo e realistico di uno a Sud-Ovest.
Il cancelliere sa che Francia e Italia non sono in grado, al momento, di proporsi come partner per riforme istituzionali di lungo periodo: da qui anche l’apertura alla Spagna di Sanchez
Che l’intento di Scholz riesca è tutt’altra questione: lo spazio a Est è tutt’altro che compatto, differenze enormi sono da registrare al suo interno, non è detto che Berlino sappia districarsi nelle complicate sfide dell’allargamento senza finire, come nel caso turco, nel promettere qualcosa che non arriverà mai, generando così diffidenza e rancori. Come pure troppo vaghe sono le formulazioni sul futuro rapporto con la Russia e incerti sono i progetti industriali a cui si è fatto riferimento.
Mi sembra però sia sufficiente per definire una direzione di marcia e un primo elenco di priorità del cancelliere. Che è consapevole di come Francia e Italia non siano in grado, almeno per il momento, di proporsi come partner per riforme istituzionali di lungo periodo. Da qui anche l’apertura alla Spagna di Sanchez, con il quale Scholz può immaginare di costruire un rapporto all’insegna dei valori della socialdemocrazia europea, sebbene la Spagna non possa vantare il peso politico di Parigi e Roma. In una fase simile con lo spostamento del baricentro l’ulteriore marginalizzazione del Sud Europa potrebbe essere una conseguenza inevitabile: per l’Italia dovrebbe essere materia di riflessione.
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