Maria Luisa ha sessantotto anni e fa la sarta. O meglio, la faceva di mestiere, ma da vent’anni a questa parte la fa solo per amore: da quando è nato il fantastico laboratorio di Venti Lucenti, ogni ottobre, fino a maggio cuce per centinaia di figli fiorentini. Maria Luisa ha una figlia che si chiama Manu. Un sorriso che abbaglia, due stelle azzurre incastonate tra i capelli corvini che le scendono lunghi, e che quando raccoglie alla nuca concentrano nello sguardo un’intensità rinascimentale, da belle ferronière. Manu, dentro, è ancora più bella. La passione per il teatro e i bambini è un antidoto contro il malumore. Sette anni fa ha seminato un nuovo fiore nel prato dei Venti Lucenti, il progetto "All'opera", con cui ha realizzato grandi spettacoli per piccoli interpreti, sul palcoscenico del Teatro comunale di Firenze.
Titoli così adulti, L'oro del Reno, Il crepuscolo degli Dei o Il ratto del serraglio, impensabili da suonare per le corde vocali delle elementari e delle medie. Quest'anno la sfida è ancora più radicale, si chiama Rosenkavalier. Richard Strauss trasformato in fiaba di musica, da leggere con gli occhi stupiti dell'infanzia. E Manu ha chiesto alla mamma di preparare 586 costumini: pantaloncini Settecento con spacchettino e girovita alto con fascia, gilet lungo effetto redingote e jabot svolazzanti al collo per i maschietti, oppure gonnellina sbuffata con nastro a stringere per le bimbe. La Manu, poi, acquista per tutti parrucchette e cappelli a tricorno, cosicché la carica dei 586 da casa porta solo una maglietta bianca e i calzini.
Accanto a lei c'è Daniele. Suo compagno di vita e di arte da un terzo della loro età, coordina la creatività di Manu da lontano e da vicino. Un giorno di qualche mese fa, Daniele mi ha chiesto di raggiungerli a Firenze, per vivere dal palco quest'avventura.
Qualche settimana prima della “prima”, ci troviamo alla Nazario Sauro, una delle sei scuole coinvolte nel progetto. Venti Lucenti prova coi bimbi una, due, tre volte a settimane, ogni volta che serve. La festante orda di fanciulli della periferia Sud, non appena Claudia Gori attacca alla tastiera, placa l'entusiasmo in disciplina: i fanciulli imparano a squarciagola, guidati con mano sicura dalla bionda pianista, che cura battuta per battuta l'elaborazione musicale dell'opera, riuscendo nell'impresa di sincronizzare questo esercito bianco sulle zeta e le aspirate tedesche.
Arriva Alvaro Lozano, il direttore. Da un podio invisibile trascina i cantori con i gesti ampi delle sue lunghe ali, forgiando l'espressività del canto attraverso una travolgente mimica ispanica. Strauss zampilla spontaneo dalla sorgente di una scuola elementare. Follia? Sì. Ma follia vera. Venti Lucenti è sogno a occhi aperti. Un gruppo, una famiglia che comprende anche Nicco, Cecilia, Chiara, Michele, Ilaria, Daniele. Ragazzi straordinari, prima allievi e ora bracci destri e sinistri, che dall'alba della “prima” allestiscono, montano, supervisionano, puliscono, sbigliettano nella casa del Maggio musicale fiorentino.
Tutto è pronto. L'ensemble di musici scivola in buca. Claudia siede al pianoforte, il volto è concentrato e felice. Arriva Alvaro con il frac delle occasioni più importanti, e io mi intrufolo in un pertugio per sbucare sul boccascena. Morgen, trapiantato quale ouverture dal repertorio liederistico, è una geniale trovata di Claudia che accorda l'uditorio sull'orizzonte sonoro ideale di Richard Strauss. Acquattata nel buio della musica che sorge, appena il seguipersone m'illumina sento la mia voce sussurrare. «È il tempo, Quinquin, è il tempo...che pure nulla muta nei fatti», dando inizio a questo Cavaliere della rosa con gli stupendi versi di Hofmannsthal. Davanti a me percepisco la presenza tesa, emozionata, incredula di duemila persone. Trema l'aria alla bellezza della musica, alle mie spalle quattrocento cuori battono muti sul gigantesco palco.
Trecento bambini (saranno altrettanti l'indomani) mormorano all'unisono nella partitura di Strauss, vibrano come strumenti musicali. Custoditi sotto lenzuoli immensi di tulle, sembrano tutti uguali. Insieme a loro, sono ammantati da una luce blu scura anche sessanta maestre, quattro cantanti e quattro ballerini del corpo di ballo del Maggio, sei attori, due trampolieri, venti animatori e venticinque macchinisti, oltre a decine di altri collaboratori. Scorre il tempo sui metronomi coreografati dalle braccia-lancette dei bimbi, mosse alla velocità dei loro diversi interiori tic-tac, mentre la Marescialla vorrebbe fermare tutti gli orologi, tutti, nel cuore della notte. Occhieggia immobile il tempo dal grande orologio molle sospeso sull'enorme baldacchino fasciato in candidi veli, largo venti metri. Scorre invece nella partitura, che inesorabilmente avanza e si trasforma, attingendo persino dall'omonimo autore della Marcia di Radetzky. Tutto è lecito, non ci sono limiti in questa rappresentazione anacronistica e non filologica, straussiana e viennese, semplicemente bella più del giusto. Alvaro dirige il palco e la platea, le mani di tutti battono come nella Sala dorata del Musikverein.
L'utopia di un mondo reso migliore dall'armonia è una missione che Venti Lucenti coltiva per discendenza familiare: così la visione di Manu, dopo Maria Luisa, ha contagiato anche Ginevra, la figlia ventiquattrenne che da Londra ha colmato il quaderno di regia con le sue idee, realizzate dai ragazzi dell'Istituto statale d’arte di Firenze in iperboli oniriche di tessuto, plastica, gomma, silicone, metallo. Eppure proprio oggi, mentre scrivo, il sorriso abbagliante di Manu si è spento per un attimo: il commercialista l'ha messa in guardia, Venti Lucenti spende ben più di quanto può permettersi. Ma appena uscita dall'ufficio, passano nella piazza del mercato di Galluzzo sei bambini, solo apparentemente sconosciuti, che intonano «Glück und Segen allerwegen». Tre note, e il sorriso di Manu torna a centro cuore.
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