Praticata con l’ausilio biotecnologico da oltre cinquant’anni e nominata in vari modi, la gestazione per altri (Gpa) resta una delle modalità riproduttive più controverse dell’orizzonte contemporaneo. In termini generali possiamo definirla una pratica riproduttiva che coinvolge più soggetti in un percorso di procreazione medicalmente assistita (Pma). Essa prevede la partecipazione di uno o più genitori intenzionali, che avranno la responsabilità legale del nato e che per ragioni di infertilità patologica o strutturale non possono portare avanti una gravidanza, e di una persona gestante, che si impegna a condurre la gravidanza senza assumere la genitorialità del nato.
Senza scendere nei dettagli, le possibili realizzazioni sono molteplici: possono variare i soggetti che fanno ricorso alla pratica (single/coppie, soggettività eterosessuali/Lgbtqia+), quelli che forniscono i gameti (genitori/terzi) e l’accordo stipulato (solidale/commerciale). Oggi, in Italia, l’art. 12 comma 6 della legge 40/2004 prevede un divieto penalmente sanzionato di Gpa in qualsiasi modalità venga realizzata.
Negli ultimi mesi la pratica è tornata al centro del dibattito a seguito della proposta di legge Varchi (c. 887), approvata in Commissione giustizia e mercoledì alla Camera dei deputati, di estendere il reato anche quando la pratica viene realizzata all’estero da cittadini italiani. Più che entrare nel merito delle criticità giuridiche di tale proposta, può essere utile riflettere sul contesto giuridico, politico e culturale in cui si colloca.
Per prima cosa, possiamo rilevare come, nonostante la pretesa di universalità della proposta di legge, che presenta la Gpa come “reato universale”, sono in aumento i Paesi che invece la permettono. La conseguenza è lo spostamento massiccio di genitori intenzionali verso questi Paesi, fenomeno che ha chiamato in causa l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha stabilito che, anche se il proprio Paese di origine vieta la Gpa, deve riconoscere il rapporto di filiazione formato all’estero – quando corrispondente al best interest of the child.
La volontà di disincentivare il ricorso all’estero non solo ha portato all’attuale proposta di legge, ma ha anche avuto delle ricadute sul riconoscimento in Italia degli atti di filiazione regolarmente formati negli Stati in cui la Gpa è permessa. Su questo, nel dicembre scorso, erano intervenute le Sezioni unite della Corte di Cassazione, le quali in ragione del disvalore riconosciuto alla pratica – in qualunque modalità si realizzi – avevano negato la trascrizione automatica dell’atto di nascita rispetto al genitore non genetico, lasciando come unica strada percorribile per il riconoscimento della genitorialità quella dell’adozione.
A seguito di questa sentenza, che riguardava la Gpa e non escludeva la genitorialità tout court ma semplicemente escludeva la trascrizione automatica, sono stati poi impugnati atti di nascita anche di genitori omosessuali (per lo più coppie di donne) che hanno fatto ricorso alla Pma all’estero, richiedendo la cancellazione del genitore non genetico; causando, oltre che una violazione di diritti, una confusione giuridica e mediatica relativa alla sovrapposizione tra Gpa e genitorialità Lgbtqia+.
Lo scorso anno, prima che intervenissero le Sezioni unite, la prima sezione della Corte di Cassazione (ordinanza interlocutoria 1842/2022) aveva suggerito una strada diversa: piuttosto che attribuire disvalore alla Gpa tout court, la proposta era quella di valutare la sua portata lesiva caso per caso, in base al verificarsi o meno di alcune condizioni – come il pagamento o la possibilità di tenere il nato. Pertanto, se un Paese garantisse adeguate misure per tutelare la dignità della gestante e dei nati non ci sarebbe un fondamento sufficiente per negare il riconoscimento dell’atto di nascita, rifiutando invece la trascrizione solo se tali misure non fossero adottate.
Pur avanzando delle perplessità rispetto a questa soluzione, essa avrebbe permesso per lo meno di mettere in dialogo il divieto nazionale con le realtà europee e internazionali, aprendolo alla comprensione delle diverse modalità in cui la pratica può essere realizzata.
La proposta di legge Varchi e la sentenza del 2022 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione risultano invece neutralizzanti rispetto a una riflessione sulle distinte connotazioni morali che la pratica può assumere in base a come viene declinata, riproponendo una visione assolutista della Gpa e rendendo ancora più difficile la tutela delle soggettività coinvolte.
A questo punto potremmo chiederci: che cosa e chi sta tutelando il reato di Gpa del nostro ordinamento? In primo luogo, il disvalore verso la Gpa viene nuovamente costruito in modo strumentale alla volontà politico-legislativa di affermare un’idea di famiglia “tradizionale” e assieme a essa di una concezione normativa (ed escludente) dell’eterosessualità e della differenza sessuale su cui questa si fonda.
Questo avviene in primis squalificando le istanze genitoriali attraverso l’utilizzo retorico dell’inesistenza di un diritto al figlio, senza in alcun modo considerare la presenza di infertilità patologica o strutturale e senza cenno alcuno all’autodeterminazione riproduttiva e all’impianto giuridico su cui si fonda.
Inoltre, viene avanzata l’esigenza di tutelare i nati dal subire un pregiudizio – spesso associando Gpa e genitorialità omosessuale – pur non essendoci evidenze in tal senso e tralasciando come la nascita e la crescita di bambini da parte di più individui, e non solo di una coppia eterosessuale, non siano certo state introdotte dalle tecnologie riproduttive del XX secolo.
Viene spesso sostenuta la preferibilità morale dell’adozione rispetto alla Gpa. Tuttavia, più che riflettere su quale percorso verso la genitorialità sia più virtuoso, potremmo ripensare alla radice l’eterosessualità monogamica
Infine, viene spesso sostenuta la preferibilità morale dell’adozione rispetto alla Gpa. Tuttavia, più che riflettere su quale percorso verso la genitorialità sia più virtuoso, potremmo ripensare alla radice l’eterosessualità monogamica e la famiglia nucleare alla base del desiderio genitoriale e della riproduzione sociale/biologica. Le possibilità verso nuovi percorsi di genitorialità e filiazione sarebbero molte. Nella provincia canadese di British Columbia, per fare un esempio, possono essere dichiarate genitori di un bambino fino a quattro persone, senza che siano necessariamente tutte conviventi o sentimentalmente legate.
In secondo luogo, come già rilevato da Balzano (Gestazione per altri e mercato della riproduzione, “Il Mulino”, n. 4/2017), il dibattito sulla Gpa rende particolarmente esplicita la storica convergenza su alcuni punti tra le destre internazionali, il pensiero di matrice cattolica e un femminismo che reclama il divieto universale. In particolare, tali posizionamenti fanno perno sulla strumentalità delle tecnologie riproduttive rispetto allo sfruttamento delle donne e alla commercializzazione della biologia riproduttiva, pertanto il divieto di Gpa viene invocato a tutela delle gestanti, dei loro corpi e della loro dignità.
In questo modo l’autodeterminazione delle persone che portano avanti una gravidanza per altri viene resa invisibile. Gli studi antropologici (cfr. S. Guerzoni, Loro lo fanno io lo cucino, “Etnografia e ricerca qualitativa”, n. 3/2018) spiegano come le gestanti vengano spesso descritte come “anormali”, dato che le donne normali sono naturalmente predisposte a tenere il bambino portato in grembo, o come persone in possesso di una motivazione forte (solitamente ricondotta alla disperazione economica), oppure ancora come persone su cui, presto o tardi, la natura avrà la meglio, inducendole a voler tenere il nato.
Attraverso queste letture la coincidenza tra gravidanza e maternità viene assunta come una verità indisponibile che si impone su chi porta avanti la gravidanza. Tuttavia, non è sempre chiaro come tale indisponibilità si relazioni con il diritto della donna a non essere nominata nell’atto di nascita riconosciuto dal nostro ordinamento. Probabilmente, come sostenuto da Botti (Madri Cattive, Il Saggiatore, 2007), la difficoltà di declinare l’autodeterminazione rispetto alla gravidanza è dovuta al fatto che, in quanto esperienze della soggettività/corporeità femminile, gravidanza e parto restano ambiti di scelta e dilemmi morali relativamente inesplorati in ambito sia bioetico sia giuridico.
È da questo punto che dovremmo quindi ripartire. Gli studi antropologici ci dicono che al di fuori del materno l’esperienza di gravidanza coinvolge le gestanti in più modi, da un punto di vista tanto riflessivo quanto emotivo, i quali sono diversi per ciascuna donna e per ciascuna gravidanza. Pertanto, più che assumere una indisponibilità che si impone sulla persona gestante, seguendo Botti, dovremmo assegnare solo a chi sta vivendo quell'esperienza la scelta di nominarla.
In questa direzione, ritengo apprezzabile la proposta di legge formulata da Articolo 29 che lascia la gestante libera di accedere all’aborto e di revocare il proprio consenso dopo il parto. Quest’ultima questione è stata affrontata nel 2018 dal Tribunale costituzionale portoghese che, pur riconoscendo alla Gpa un rilievo costituzionale positivo, dichiarandone l’ammissibilità di principio, ha individuato dei profili di inadeguatezza nella legge relativi all’impossibilità per la gestante di poter ritirare il proprio consenso dopo la nascita, assumendo la genitorialità del nato.
Ulteriore profilo spesso sollevato nelle riflessioni sulla Gpa riguarda il ruolo assunto dal mercato nella sua regolazione e rispetto all’esercizio degli interessi a essa sottesi – siano essi quelli riproduttivi dei genitori intenzionali o quelli di autodeterminazione della persona gestante.
In letteratura si è tentato di valutare l’eticità della pratica sulla base della presenza/assenza dell’elemento economico, tracciando un discrimen tra Gpa commerciale e solidale
In letteratura si è tentato di valutare l’eticità della pratica sulla base della presenza/assenza dell’elemento economico, tracciando un discrimen tra Gpa commerciale e solidale. Tuttavia, il modello solidale viene criticato dal momento che sotto forma di “rimborso spese” avvengono significativi passaggi di denaro. In questo modo, col richiamo alla solidarietà, l’intermediazione economica, che in virtù dei rapporti di forza che è in grado di attivare dovrebbe chiamare in causa l’intervento del diritto, viene sottratta ai meccanismi di controllo.
Oltretutto l’enfasi che legittima la Gpa solidale in quanto gratuita ed estranea al mondo produttivo ed economico ripropone un’idea pericolosa in una prospettiva di genere, secondo la quale l’ambito della riproduzione sia privato, non produttivo e per questo estraneo alle logiche di sfruttamento e oppressione.
D’altra parte, lo strumento contrattuale tra privati interagisce in modo complesso da un lato con la mediazione di cliniche private e transnazionali, dall’altro con un’autonomia declinata in termini individuali e astratti che si radicalizza sull’elemento del consenso, invisibilizzando le vulnerabilità alla base delle scelte e delle negoziazioni che ciascuna soggettività fa rispetto alla propria corporeità.
Alla luce di queste considerazioni dovremmo pertanto riorientare la logica usata finora per accogliere o respingere la legittimità della Gpa proponendo dei percorsi valutativi diversi dall'oblatività incondizionata, da un lato, e dalla libera iniziativa economica, dall’altro.
Si ritiene, infatti, che a garantire maggiore tutela alle persone gestanti, più che la presenza/assenza di una remunerazione economica, sia l’individuazione di quali prestazioni possono essere rese oggetto di obbligazione tra le parti, lasciando nel pieno dominio di chi porta avanti la gravidanza la libertà di aborto, di revoca o di determinare i propri stili di vita.
In questo senso l’intermediazione pubblicistica potrebbe garantire non solo l’esclusione dell’intervento di cliniche e agenzie private, ma anche la predisposizione di procedure autorizzative e di vigilanza.
Chiaramente è su questo punto che occorrono i maggiori sforzi, soprattutto regolatori. Tuttavia, mentre altri Paesi stanno tentando di mettere a punto modelli regolamentari che sappiano tutelare tutti i soggetti coinvolti considerando gli aspetti relazionali ed economici che la pratica implica, il nostro sceglie la via della criminalizzazione, che vuole porsi come risolutiva, ma che ha tutte le premesse per inasprire ancora di più il dibattito e aumentare le violazioni di diritti.
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