Paolo Murialdi (1919-2006) è oggi soprattutto ricordato per essere stato il caporedattore del «Giorno» negli anni in cui il giornale di Enrico Mattei rivoluzionò il nostro giornalismo, per poi divenire, nella seconda parte della sua vita, il primo e più autorevole storico delle vicende giornalistiche italiane, a partire dal volume La stampa italiana del dopoguerra (Laterza, 1973). Appare ora Gli anni al «Corriere». Diario 1951-1955, a cura di Andrea Aveto, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, un volume che racconta i retroscena del principale quotidiano italiano, ma ferma soprattutto un momento della nostra storia, tra ricostruzione e boom economico, spesso trascurato a favore di altri più indagati.

Murialdi è un cronista di razza e ha notevoli qualità di scrittura: attento al dettaglio, rapido nell’inquadrare uomini e situazioni, lettore colto e scrupoloso, a cui aggiunge un’educazione umanistica attenta al bello in tutte le sue forme. Il diario è davvero un fatto privato in cui si intravedono amori e delusioni sentimentali, amicizie coi colleghi (Italo Pietra, suo comandante partigiano, resta un punto di riferimento) o approcci più cauti, come con Montanelli, una specie di Wanda Osiris del «Corriere» di quegli anni.

Genovese e figlio d’arte, Murialdi debuttò giovanissimo al «Secolo XIX». L’esperienza decisiva per lui fu la guerra partigiana mentre gli anni Cinquanta furono un periodo di restaurazione. Scrive il 25 aprile 1952: «Oggi è il settimo anniversario della fine della lotta partigiana. Fin dal primo momento sono stato fermamente del parere che bisognava smobilitarne ogni rettorica: poi ho visto che bisognava smantellarne anche le speranze, che si sono dimostrate al novanta percento illusioni. Ma, oggi, e non solo da oggi, con la “nostalgia fascista” si esagera. E mi sembra che molti scherzino con il fuoco. Il “Corriere” ad esempio ha fatto di tutto per dimenticarsi l’anniversario».

E proprio al mondo del «Corriere» sono dedicate molte pagine, tra cui il passaggio di direzione tra Guglielmo Emanuel, gentiluomo liberale (che continua però, dopo le dimissioni, a utilizzare le tessere del giornale per andare gratis al cinema), e Mario Missiroli, uomo per tutte le stagioni, cinico, dotato di un grande mestiere, ma che alla fine decide di non inimicarsi Michele Mottola, potente caporedattore e cane da guardia della proprietà, la famiglia Crespi a cui sono dedicati diversi gustosi quadretti.

Genovese e figlio d’arte, Murialdi debuttò giovanissimo al "Secolo XIX". L’esperienza decisiva per lui fu la guerra partigiana mentre gli anni Cinquanta furono un periodo di restaurazione

Murialdi raccoglie le confidenze del pirotecnico Gaetano Afeltra, mentre più formali sono i rapporti con Dino Buzzati. Soffre l’immobilismo politico del giornale, il mancato rinnovamento tecnico. Sono rientrati più o meno tutte le firme del ventennio. Ad esempio, a Orio Vergani, un tempo giornalista di fiducia di Galeazzo Ciano, è affidata la cronaca del funerale di Croce. Murialdi rileva che gli articoli di Filippo Sacchi e Guido Piovene, ex corrieristi ora alla «Stampa», risultano più vivaci e liberi degli equivalenti di via Solferino. L’accostamento col Piovene viaggiatore, con cui può stare alla pari, viene in mente leggendo le pagine di viaggio, sia quelle sull’Italia minore (Elba, Giglio, Maremma, non ancora toccate dal turismo), sia quelle delle città d’arte (Ferrara, Parma), oppure le gite a Parigi, ancora intrisa del mito dell’esistenzialismo (ma Murialdi non è mai provinciale o ingenuo) o il lungo viaggio di lavoro negli Stati Uniti, dove il giornalista genovese è soprattutto colpito dalla civiltà materiale (elettrodomestici, tv) della middle class americana.

Mentre il secolo americano è colto al momento del suo apogeo, al suo ritorno (1953) la situazione italiana, tra giochi di correnti nella Dc e l’oscurantismo della chiesa di Pio XII, gli appare desolante. Quando scoppia la miniera della Montecatini di Ribolla presso Grosseto, quella che origina l’inchiesta di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, il direttore Missiroli sussurra in redazione: «Mi raccomando, non ci sia nulla che possa urtare la Montecatini!». Attorno al giornale scorre la bohème milanese che si ritrova al Giamaica o, nelle occasioni migliori, frequenta la Scala, dove Herbert Von Karajan «si veste come un maestro di sci». Oppure, a Firenze, tornando al mitico caffè frequentato dagli scrittori, il giornalista annota: «Sulla porta delle Giubbe rosse c’è un gran cartello: “Tutte le sere televisione – senza aumenti di consumazione”». Sembra una vignetta di Novello.

È significativo che tra le ultime annotazioni del diario ci sia il progetto di una storia del giornalismo italiano da scrivere insieme al collega Franco Nasi. "Dovrà essere, questo volume, il mio contributo al giornalismo, dato che, almeno per ora, questo contributo non posso darlo a un giornale"

L’aria di una stagione nuova si avverte col caso Aristarco-Renzi, i due critici cinematografici condannati dal tribunale militare, in quanto ex soldati, rei di aver scritto L’armata s'agapò, una sceneggiatura in cui si metteva in cattiva luce il comportamento del nostro esercito nel periodo di occupazione della Grecia. Oppure col caso Montesi, la ragazza trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica, con le indagini che rivelano un demi-monde che di solito non andava sui giornali e offrono il pretesto per affondare la carriera di Attilio Piccioni, alto esponente della Dc. Sono occasioni in cui i giornalisti prendono coscienza del proprio ruolo, un primo passo verso una maturazione professionale raggiunta solo molti anni dopo (più o meno negli anni Settanta).

È significativo che tra le ultime annotazioni del diario ci sia il progetto di una storia del giornalismo italiano da scrivere insieme al collega Franco Nasi. «Dovrà essere, questo volume, il mio contributo al giornalismo, dato che, almeno per ora, questo contributo non posso darlo a un giornale». Gli anni del «Giorno» (1956-1973) furono troppo intensi perché si dedicasse a questo progetto, ma poi lo riprese divenendo non solo lo storico del nostro giornalismo ma una delle sue coscienze critiche. E oggi, nello sfacelo di una professione così importante nella nostra convivenza civile, ci sono all’orizzonte nuovi Murialdi?