L’inaspettata crescita del partito di Giorgia Meloni registrata dai sondaggi ha sollecitato valutazioni ancora incerte sulle ragioni della sua ascesa e sulle possibili implicazioni per il sistema politico italiano. Schematizzando, vi è chi da un lato pensa che Fratelli d’Italia sia un partito di destra non più antisistema, una volta ripulito da qualche scoria nostalgica derubricata a elemento di folklore, mentre dall’altro lato c’è chi considera questa formazione un puro e semplice ritorno della tradizione neofascista italiana. La convinzione di chi scrive è che la continuità ci sia ma con elementi che non configurano un mero ritorno al passato.
Com’è noto, questa famiglia politica si è incarnata dalla fine del 1946 all’inizio degli anni Novanta nel Movimento sociale italiano e poi, per un breve periodo, terminato con la confluenza nel Popolo della libertà, in Alleanza nazionale. L’Msi, pur con qualche occasionale ambiguità, ha rivendicato una continuità ideale con il fascismo, condensando il suo rapporto col passato nella formula del «non rinnegare, non restaurare». Ancora negli anni Ottanta, Almirante poteva intervenire a un Congresso missino, suscitando l’entusiasmo dei presenti, gridando: «Il fascismo è qui». E il suo erede, Gianfranco Fini, continuava a interrogarsi sulle prospettive di un «fascismo del XXI secolo».
Ancora negli anni Ottanta, Almirante poteva gridare “il fascismo è qui”. Mentre poi il suo erede, Gianfranco Fini, continuava a interrogarsi sulle prospettive di un “fascismo del XXI secolo”. E oggi?All’interno dell’Msi si confrontavano e spesso si combattevano anche in modo aspro (a volte pure manesco) diverse interpretazioni del fascismo. Vi era chi si richiamava in modo particolare al fascismo «socializzatore» e vagamente anticapitalista della Repubblica sociale italiana a quello più conservatore del regime alleato alla monarchia e all’establishment economico-finanziario. Il primo trovava la sua formulazione nella Carta di Verona, approvata sotto l’egida della Repubblica di Salò, nella quale certe formulazioni demagogiche e «rivoluzionarie» venivano assunte in un quadro di totale subalternità al potere degli occupanti nazisti. L’ala conservatrice aveva la sua base soprattutto nei notabili del Sud che assorbivano gran parte dell’elettorato qualunquista. Il suo obiettivo era l’inserimento nel sistema politico, in alleanza con la destra democristiana in funzione anticomunista e di difesa dei tradizionali equilibri sociali.
Con molte ambiguità, l’operazione condotta da Fini, attraverso Alleanza nazionale, sembrava aspirare alla formazione di un partito conservatore democratico, in rottura con la tradizione fascista. Questo progetto portò all’isolamento del leader, fino ad allora incontrastato, dalla gran parte del suo partito. Il conflitto restò irrisolto per l’improvvisa decisione di Fini di accettare la proposta di Berlusconi di confluire nel Popolo d’Italia. Una scelta che sembrava destinata a mettere la parola fine alla storia della presenza autonoma di una corrente neofascista di un qualche significato in Italia. La successiva crisi del Pdl, vincolata al suo carattere di «partito personale», e l’evoluzione del contesto politico e sociale italiano hanno nuovamente rimescolato le carte.
Una parte della componente di tradizione neofascista, formatasi prima nel Fronte della gioventù e poi in Azione giovani, riteneva che la confluenza in un partito nel quale Berlusconi continuava a controllare tutte le leve di comando, avrebbe significato la dispersione di quello che era considerato ancora un patrimonio storico positivo. Da questo timore, esacerbato da alcune scelte politiche volute da Berlusconi come l’annullamento delle primarie nel Pdl e la decisione di sostenere il governo Monti insieme al Pd, nascono le ragioni della creazione, alla fine del 2012, di Fratelli d’Italia.
Nel simbolo del nuovo partito viene inserita la fiamma tricolore per sottolineare gli elementi di continuità (il simbolo e il nome iniziale subiranno poi alcuni aggiustamenti). Nel suo recente libro, pare di grande successo, Giorgia Meloni richiama ripetutamente la continuità con i settant’anni di storia della sua «comunità politica». Sul fatto che Fratelli d’Italia si inserisca nel solco storico del neofascismo italiano non vi è quindi dubbio. Ma questa collocazione viene accompagnata da alcune operazioni e aggiustamenti politico-ideologici che occorre esaminare.
Nel suo recente libro Giorgia Meloni richiama ripetutamente la continuità con i settant’anni di storia della sua “comunità politica”. Sul fatto che Fratelli d’Italia si inserisca nel solco storico del neofascismo italiano sembrerebbe non esserci alcun dubbio: è davvero così?Nel testo della Meloni il giudizio sul fascismo viene lasciato agli storici, evitando di prendere posizione sul piano politico. Su un aspetto, sul quale Fini si era espresso parlando di «male assoluto» (riferito non al fascismo in sé ma al razzismo incarnato dalle leggi antiebraiche), la Meloni propone una diversa ricostruzione. Il razzismo – sostiene – era un fenomeno largamente diffuso anche nelle nazioni che combatterono il nazifascismo. Non era quindi una delle ragioni della Seconda guerra mondiale. Semmai, se occorre individuare le radici del male, queste vanno rintracciate nell’illuminismo. Un’operazione di sostanziale banalizzazione del fascismo e un passo indietro anche rispetto alla posizione assunta da Fini. Attraverso questa contorsione ci si ricollega ostilità di fondo nei confronti dell’illuminismo, della ragione e del progresso già chiaramente espressa nelle «tesi di Trieste», approvate al secondo Congresso di Fratelli d’Italia.
Aggirato lo scoglio del giudizio politico sul fascismo, sul piano della comunicazione si registra un linguaggio allusivo che consente di mantenere un doppio discorso: quello per l’inner core (il nucleo interno del partito) e quello per l’elettorato più largo. Un artificio narrativo che si può rintracciare chiaramente in alcuni significativi dettagli. Nel libro di Giorgia Meloni, quando si parla di Ignazio La Russa (dirigente di FdI) si richiama la sua decisione di aderire al nuovo partito come inevitabile conseguenza dell’appartenere a una «stirpe di sicura fede». Di quale «fede» si tratti la Meloni non ce lo dice. Ma considerato che il padre di La Russa fu segretario del Partito Nazionale Fascista nella sua città e che diede al figlio Ignazio il secondo nome di Benito, non sarà difficile intuirlo. Così come, in occasione della recente scomparsa di Teodoro Buontempo, storico esponente del neofascismo romano, una grafica pubblicata sull’account Twitter della Meloni, ne celebrava «la fedeltà all’idea». Anche in questo caso non ci viene detto a quale «idea» Buontempo fosse rimasto fedele. Una fede e un’idea che vengono celebrate ma che risultano innominabili, che sono ben comprese dal quadro interno, ma che è più prudente occultare al grande pubblico.
Così come la continuità col fascismo (e il neofascismo) viene contemporaneamente rivendicata e nascosta, questa tradizione ideologica e politica viene anche rielaborata in due diverse direzioni: una interna e l’altra esterna.
Sul piano interno nel conflitto tra le varie correnti ideologiche che hanno attraversato il neofascismo, l’identità di Fratelli d’Italia pende decisamente sul versante conservatore. La triade «Dio, patria, famiglia», assunta come sintesi del proprio orizzonte ideologico, colloca il partito nell’ambito di una destra tradizionalista, nazionalista a sfondo etnico, non priva di tentazioni clericaleggianti. Così come il vecchio Msi, nella versione micheliniana, si proponeva come punta di lancia di un fronte conservatore che strizzava l’occhio alla destra democristiana, Fratelli d’Italia si presenta come la forza più coerente (all’interno del centrodestra) nella lotta contro «la sinistra», termine che ha assorbito quello di «comunismo», trasferendo su di essa lo stesso odio viscerale. Per la Meloni, «la sinistra» è un blocco unico che va da Renzi ai centri sociali, senza sfumature e senza differenziazioni. È «quella gente» alla quale non si vuole piacere, come scrive con più di una punta di disprezzo la Meloni nel suo libro. Questa inalterabile avversità alla «sinistra» ha motivato la decisione del partito di rompere sul governo Monti e di restare all’opposizione dell’attuale esecutivo guidato da Mario Draghi.
Proprio da questo versante del neofascismo più conservatore e tradizionalista è possibile per Fratelli d’Italia inserirsi in una corrente politico-ideologica internazionale più ampia. Un asse politico che va dalle destre illiberali di Ungheria e Polonia a quelle populiste con venature autoritarie presenti in altri Paesi extra Ue, come il Likud israeliano o il trumpismo americano. In questo orizzonte nazional-conservatore si incontrano nuove fonti intellettuali come il conservatore britannico (e grande difensore della caccia alla volpe) Roger Scruton, l’israeliano Yoram Hazoni, difensore delle virtù del nazionalismo o il filosofo polacco e membro del PiS, Riszard Legutko, per il quale i liberali costituiscono la nuova minaccia totalitaria che incombe sui Paesi ex comunisti. Riecheggiando le tesi provenienti dall’Est Europa, Giorgia Meloni ha dichiarato che l’Unione europea rappresenta la «nuova Unione sovietica». Fratelli d’Italia, senza rinnegare nulla del passato, può trovare nella radicalizzazione a destra di settori importanti del mainstream conservatore una nuova fonte di legittimazione.
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