Di Gianfranco Folena (1920-1992) studioso «di storia della lingua e di filologia italiana, con paralleli interessi per problemi di critica e storiografia letteraria», com’egli si autodefiniva in un curriculum dattiloscritto risalente forse al 1978, sono stati proposti così tanti e così acuti ritratti che pare impossibile cercare di tracciarne uno nuovo, a trent’anni dalla scomparsa. Tra le pagine che gli sono state dedicate, oltre a quelle raccolte negli atti di convegni commemorativi (Gianfranco Folena, dieci anni dopo, a cura di G. Peron e I. Paccagnella, Esedra, 2006; Gianfranco Folena. Presenze, continuità, prospettive di studio, a cura di G. Peron, Esedra 2022), spiccano quelle di Luca D’Onghia in un libro fresco di stampa (La critica viva, a cura di Luciano Curreri e Pierluigi Pellini, Quodlibet, 2022, pp. 19-24). Senza contare che esiste un sito ricco di testimonianze su di lui (gianfrancofolena.it), aperto due anni fa, in occasione del centenario della nascita. Segni, occorre dirlo, della devozione che pare inesauribile a uno studioso dotato di un notevole carisma, che fu capace di suscitare vocazioni scientifiche, ma anche passioni culturali e civili.
Gli storici della lingua italiana, comunità scientifica da cui Folena proveniva per legittima discendenza (in quanto «scolaro», com’egli diceva, del fondatore della disciplina, Bruno Migliorini) e per originaria afferenza (in quanto vincitore di uno dei primi concorsi a cattedra della disciplina), hanno illuminato da più riguardi la sua figura, ricordandolo soprattutto come studioso delle grandi crisi linguistiche dell’italiano (il Quattro e il Settecento, in particolare), e come autore di fortunati dizionari (circola ancora, soprattutto nelle scuole, il Palazzi-Folena).
Poco minore è stata l’attenzione postuma di quella che potremmo chiamare la sua famiglia scientifica acquisita, la compagine dei filologi romanzi. La filologia romanza fu in effetti disciplina insegnata costantemente da Folena accanto alla storia della lingua, con alternante statuto di titolarità, fin dai primi anni della lunga stagione all’università di Padova (1954-1992).
La filologia romanza è una disciplina tipicamente europea – perché interlinguistica, interculturale, cosmopolita –, la storia della lingua una disciplina tipicamente italiana – perché crucialmente identitaria, radicata nella storia nazionale. Che cosa significò per Folena il loro connubio?
A un grande filologo romanzo, Cesare Segre, fu chiesto nel 2002 d’inquadrare Folena come medievalista, ma questa prospettiva – come lo stesso Segre ammetteva onestamente – non era forse la più adeguata, risolvendosi nella constatazione «di quanto Folena avrebbe saputo e potuto fare in campo medievale, se non fosse stato attratto da altre epoche più vicine a noi, da altre tematiche e, soprattutto, da altre curiosità». Il punto è che il Folena filologo romanzo – anzi, filologo europeo – non è affatto esaurito dallo studioso delle letterature medievali, ciò ch’egli fu occasionalmente e genialmente (e anche con una certa continuità nella sua prassi didattica), ma non esclusivamente.
Per individuare il senso più vero dei suoi percorsi attraverso la sua idea di filologia romanza è necessario rivolgersi anche a studi che con il Medioevo non hanno nulla che fare, essendo dedicati a temi cinquecenteschi o settecenteschi, non solo letterari ma anche artistici e musicali, che documentano il suo interesse per le zone d’intersezione tra culture e tra lingue. Sono gli studi raccolti in volumi come L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento (Einaudi, 1983, poi Cesati, 2021); Culture e lingue nel Veneto medievale (Editoriale programma, 1990), Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale (Bollati Boringhieri, 1991): dove si noterà l’apertura transculturale di tutti e tre questi titoli.
Nei saggi sui poeti in provenzale attivi nel Veneto, sul latino macaronico di Teofilo Folengo, sulle lingue di Goldoni, sulla storia della traduzione, emerge un’attitudine propriamente romanistica, e particolarmente congeniale al regime di doppia cittadinanza (presso la storia della lingua italiana e presso la filologia romanza) che Folena adottò e custodì gelosamente a lungo. Come ha notato Lorenzo Renzi, già a chi seguiva i primi corsi foleniani di filologia romanza alla fine degli anni Cinquanta appariva chiaro che «l’idea di Folena era di indirizzare sempre più gli studi romanzi verso i contatti storici, linguistici e culturali, tra francese e provenzale da un lato, e l’Italia, soprattutto Venezia e il Veneto, dall’altro». Erano, in fondo, le patrie d’adozione d’un toscano che aveva sposato una francese (la poetessa e pittrice Elisabeth Marcilhacy) e s’era radicato profondamente tra la Padova dell’università, la Venezia della Fondazione Cini, la Monselice del premio di traduzione da lui animato.
Le due etichette accademiche di Folena non rappresentavano insomma per lui un vero dualismo disciplinare, ma semplicemente un duplice punto di vista da cui egli guardava allo stesso oggetto: la lingua, o meglio la cultura
Le due etichette accademiche di Folena non rappresentavano insomma per lui un vero dualismo disciplinare, ma semplicemente un duplice punto di vista da cui egli guardava allo stesso oggetto – la lingua, o meglio la cultura – inteso autonomamente (ottica italianistica) oppure osservato comparativamente e contrastivamente (ottica romanistica).
Quest’ultima prospettiva si fonda sulla necessità – tipica della filologia romanza nella sua tradizione più solida e antica – di considerare simultaneamente più sistemi differenti (provenzale, francese, italiano …), ossia un diasistema linguistico-culturale in cui interagiscono plurimi fattori, cioè le lingue derivate dal latino, i loro scambi reciproci e i loro interlocutori storici. Culture e lingue, al plurale, è del resto una formula di Folena stesso, come si è visto.
Guardiamo gli inizi della traiettoria di Folena. Studiando l’incontro fra la versione toscana trecentesca dell’Eneide del fiorentino Andrea Lancia e il rimaneggiamento siciliano di un certo Angilu da Capua, nel 1956 un Folena poco più che trentenne delinea una delle idee-guida della sua prima stagione di studi. Si trattava di accertare il policentrismo del paesaggio linguistico italiano e la fondamentale importanza delle filiere linguistiche locali. Varrà la pena di ricordare che lavori come questo e come la raccolta dei Testi non toscani del Quattrocento (curato con a B. Migliorini, Stem, 1953) escono a monte se non della concezione, certo del successo di opere come Geografia e storia della letteratura italiana di Carlo Dionisotti (che Einaudi pubblicherà nel 1967), che hanno reso la nozione di pluricentrismo linguistico e letterario un dato acquisito per l’italianistica, esponendola anzi a banalizzazioni e stanche ripetizioni, tanto che la lezione dionisottiana è oggi ormai talvolta una stanca maniera.
Negli anni Cinquanta, molti studi tendevano ancora a descrivere la storia linguistica italiana in termini di teleologismo risorgimentale, cioè come progressiva e inesorabile convergenza verso un egemone modello toscano trionfante già nel Quattrocento. Nella convivenza e nel contatto fra tradizioni linguistiche disparate interne all’Italia si mostra precocemente un tratto destinato a ramificarsi e ad ampliarsi nel seguito del percorso foleniano.
Dall’Italia plurilingue a un’Europa mistilingue: di vent’anni successivo alle ricerche tre-quattrocentesche appena richiamate è un saggio come L’italiano di Mozart nel concerto europeo del suo epistolario (1973, pubblicato dieci anni dopo in L’italiano in Europa, Einaudi, 1983). Si illumina una zona ancor diversa degl’interessi di Folena, ma ancora una volta caratterizzata dalla compresenza e dall’incrocio di culture e di lingue. È l’attenzione ai rapporti tra la musica e la parola a favorire quest’ulteriore incontro: la grande passione mozartiana di Folena si travasa in un saggio che è un capolavoro per metodo e per risultati di ricerca. Frugando nell’epistolario del musicista, si disvela un Mozart plurilingue e mistilingue capace, nella sua scrittura personale e familiare, di mescolanze e d’invenzioni linguistiche travolgenti, che chiamano in causa il tedesco (e il dialetto salisburghese) insieme all’italiano, al francese e al latino in un concerto estroso e mai dissonante. Un territorio, quello del rapporto tra lingua e cultura musicale, in cui pochi linguisti italiani si erano ancora inoltrati e che era destinato a diventare uno dei più fruttuosamente battuti dagli studi italiani degli ultimi decenni.
È l’attenzione ai rapporti tra la musica e la parola a favorire quest’ulteriore incontro: la grande passione mozartiana di Folena si travasa in un saggio che è un capolavoro per metodo e per risultati di ricerca
All’interazione tra linguaggio verbale e linguaggio musicale Folena si interessa a fondo sia in veste di storico della lingua, sia in veste di appassionato musicofilo, sia in qualità di direttore dell’Istituto di Lettere, Musica e Teatro della Fondazione Giorgio Cini dal 1959 al 1992. Un terzo linguaggio sarebbe invero quello figurativo, ed è il nucleo su cui fioriscono il saggio sulle lettere di Tiziano (ancora un epistolario plurilingue!) e già quello precocissimo (del 1951) sulla storia della parola chiaroscuro (La scrittura di Tiziano e la terminologia pittorica rinascimentale , e Chiaroscuro leonardesco, ora entrambi in Il linguaggio del caos, pp. 255-279).
Difficile immaginare molti dei lavori foleniani più famosi lontano dall’orto veneziano dell’isola di San Giorgio. Tra gli anni Settanta e Ottanta si svolgono alla Fondazione Cini alcuni convegni fondamentali per le vicende della musicologia e in particolare della storia della musica veneziana, italiana, europea: convegni i cui atti decorati dall’emblema del santo cavaliere sono spesso aperti dalla premessa di Folena, storico della lingua consapevole di quanto il melodramma e la tradizione musicale in genere abbiano significato per le vicende dell’italiano in età moderna. Incroci di lingue e incroci di civiltà: sono i tratti distintivi di un italianista che, pur rimanendo per quarant’anni a insegnare a Padova, fu di fatto un grande italiano in Europa.
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