Se verrà approvato, il disegno di legge Cirinnà (bis) farà uscire l’Italia dalla posizione imbarazzante di essere uno dei pochi Stati europei che non riconoscono in alcun modo le famiglie di persone omosessuali. Nel disegno di legge permangono discriminazioni rispetto alle persone eterosessuali che decidono di unirsi in matrimonio. Ma si sa, quelle discriminazioni non si possono rimuovere se non con l’approvazione del matrimonio egualitario e a quanto pare, nonostante la stragrande maggioranza degli studiosi di diritto ritenga che la sua approvazione sarebbe doverosa, così non sembrano pensarla i legislatori. Anche tra i parlamentari del Partito democratico c’è una sorta di gara a chi dichiara con maggior enfasi che l’unione civile «non è un matrimonio», che «il matrimonio è una cosa diversa», più per marcare la distanza da chi il matrimonio egualitario lo vorrebbe che a voler tranquillizzare un elettorato che ci si immagina «sgomento».
Va ammesso che il Ddl Cirinnà non è quella sorta di «contentino» che erano i Di.Co. (che, comunque, non arrivarono mai al voto in assemblea, grazie a una trentina di franchi tiratori), poiché introdurrebbe una disciplina che assomiglia molto di più al matrimonio (in tema di diritto di successione, in tema di scioglimento dell’unione e così via). Tuttavia, basterebbe notare che queste garanzie e che questi diritti vengono conferiti mediante la creazione di un istituto speciale che non trova giustificazione ragionevole per sollevare un mare di critiche ben fondate, che infatti non sono mancate.
La votazione si svolgerà a scrutinio segreto e il Pd ha dichiarato che lascerà ai propri parlamentari «libertà di coscienza», senza dare indicazioni di voto. Già questo è un fatto che deve essere segnalato, perché i regolamenti parlamentari stabiliscono che la votazione, di norma palese, debba avvenire a scrutinio segreto in pochi casi; tra i quali, per limitarci a quelli che toccano l’oggetto di questa proposta di legge, quelli che riguardano la famiglia ai sensi degli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione (art. 49 reg. Camera), cioè la famiglia «fondata sul matrimonio». I regolamenti di Camera e Senato, tuttavia, prevedono la possibilità che si possa comunque votare con scrutinio segreto, se ne fanno richiesta un certo numero di deputati e, rispettivamente, di senatori (art. 113 reg. Senato). Di solito, per prassi invalsa e consolidata, si trova normale che la richiesta di scrutinio segreto venga presentata nei casi che coinvolgono «questioni di coscienza». Dunque – premesso che ormai dovremmo avere compreso che le unioni civili non sono un matrimonio – si deve concludere che il voto sulle unioni civili può sollevare scrupoli di coscienza. Quali?
A dar retta alle dichiarazioni dei parlamentari del Pd che hanno manifestato il proprio malcontento sulla proposta, tutto si concentrerebbe sull’art. 5 che introduce Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, cioè la legge che disciplina le adozioni, e che stabilisce: «All’art. 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, dopo la parola “coniuge” sono inserite le seguenti: “o dalla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso” e dopo le parole “e dell’altro coniuge” sono aggiunte le seguenti: “o dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”». Modifica che viene presentata dai parlamentari scontenti come una norma che, conferendo alle coppie omosessuali la possibilità di «adottare», aggirerebbe la più importante differenza tra le unioni civili e il matrimonio (solo le coppie sposate possono adottare), e che dunque finirebbe per differenziare le une dall’altro di nome ma di fatto. Ma se di sostanza si tratta, dobbiamo andare a vedere che cosa stabilisce quell’art. 44 della legge sull’adozione sul quale il Ddl intende intervenire.
Il richiamato art. 44 apre il titolo IV della legge sull’adozione, intitolato «Dell’adozione in casi particolari», e la disposizione che il Ddl modificherà (se diverrà legge) stabilisce la possibilità che i minori siano adottati «dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge». Non la possibilità di adottare in generale, dunque, ma soltanto la possibilità di adottare il figlio dell’altro coniuge, una possibilità che il Cirinnà estenderebbe all’altra parte dell’unione civile. In sintesi: 1) il Ddl non stabilisce che le coppie costituite con unione civile possano adottare, ma stabilisce che 2) le parti dell’unione civile possano adottare i figli dell’altra parte. Ovviamente, nessuno può adottare il proprio figlio, e per questo l’art. 44 della legge sulle adozioni (Diritto del minore a una famiglia) disciplina un caso particolare di adozione, nel quale l’adottante non è una coppia ma un singolo che adotta il figlio del proprio coniuge e che, in questo modo, diviene il figlio della coppia, con tutti i diritti (per il minore) e con tutti i doveri (per l’adottante) che conseguono. Questa adozione particolare, del resto, non si svolge senza il consenso dei genitori, come stabilisce il successivo art. 46 della medesima L. 184:
Per l’adozione è necessario l’assenso dei genitori […]. Quando è negato l’assenso […] il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato e contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la potestà […] dell’adottando. Parimenti il tribunale può pronunciare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per l’incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.
Nessuna equiparazione con il matrimonio, dunque, ma soltanto la possibilità di accedere a una adozione particolare: l’adozione del figlio dell’altro componente della coppia, compiuta con il consenso di entrambi i genitori, oppure della possibilità di adottare un minore che ha un solo genitore, quello interno all’unione civile, perché l’altro è irreperibile, ignoto, defunto o ritenuto incapace di esercitare la potestà genitoriale (cioè non idoneo a occuparsene). Il tribunale, infatti, non può decidere per l’adozione se il genitore esterno all’unione civile (per esempio l’ex marito o la ex moglie) si oppone, se questi esercita la potestà genitoriale. Né può, il tribunale, decidere in modo contrario all’interesse dell’adottando, la cui protezione è del resto un principio generale di tutta la disciplina dell’adozione.
Ecco: le stepchild adoption, quel termine inglese con il quale secondo alcuni si vorrebbe nascondere chissà quale nefandezza a danno dei bambini, sono questa cosa qui. Punto.
In che cosa, allora, consisterebbero le «questioni di coscienza», tali da dover procedere a votazione segreta, se la legge stabilisce soltanto questo (e stabilisce soltanto questo)? Ancora dobbiamo guardare alle dichiarazioni degli scontenti, e scopriamo che consisterebbero nella convinzione che si stia cercando di conferire di fatto il diritto di sposarsi alle persone omosessuali (solo le coppie sposate possono adottare) a spese dell’interesse e dei diritti dei minori, cioè che si stia cercando di strumentalizzare i bambini per dar diritti a persone adulte. Diritti che vengono dipinti come tutto sommato non vitali e che, comunque, dovrebbero essere soccombenti rispetto ai più importanti diritti dei minori.
Stiamo scherzando? La legge sull’adozione, nell’introdurre quella figura di adozione particolare, casomai ha conferito al minore il diritto di essere adottato dal coniuge di uno dei suoi genitori quando l’altro genitore non c’è, o è stato ritenuto incapace di occuparsene o, se capace di occuparsene, quando è d’accordo che tale adozione abbia luogo (o perché è disinteressato alle sorti del minore o perché ritiene che quell’adozione sia vantaggiosa per il minore stesso). In tutto questo, c’è il tribunale che vigila perché ciò avvenga, tenendo sempre presente, per prima cosa, i diritti e gli interessi dell’adottando, e infatti al tribunale spetta l’ultima parola. Il Ddl Cirinnà si limita a estendere la stessa possibilità al caso che l’adottando non sia il coniuge (cioè persona unita in matrimonio con il genitore) ma la “parte di un’unione civile”. Come ciò può configurare un danno per gli interessi del minore? Non esiste alcun diritto di adottare ma soltanto un diritto di essere adottati.
Se c’è una strumentalizzazione dei bambini – e a mio parere c’è – questa è tutta dall’altra parte. Incassato non senza malumori il fatto che non è più procrastinabile la promulgazione di una legge sulle unioni omosessuali, ora i clericali (la parola è questa) imboccano la strategia di opporsi non alle unioni civili in sé ma a questo progetto di unioni civili, perché permettendo la stepchild adoption (alla lettera: adozione del figliastro), consentirebbe alle coppie omosessuali di adottare, e ciò sarebbe contrario agli interessi e ai diritti del minore. L’obiettivo è quello di affossare la legge facendo leva su questo pretesto, con lo scopo di ricominciare da capo e rimandare ancora. Ecco la realtà delle ragioni di opposizione dei parlamentari di maggioranza: non la volontà di proteggere i bambini dalle strumentalizzazioni, ma la volontà di strumentalizzare i bambini perché in essa hanno intravisto la possibilità di votare contro una legge che contrasta con le posizioni delle gerarchie cattoliche, tralasciando il principio costituzionale della libertà di religione e della separazione tra Stato e Chiesa.
Insomma, quando sentiamo dire «giù le mani dai bambini», cerchiamo di stare attenti che chi ce lo dice non ne stia brandendo uno.
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