Poco dopo lo scoppio di una nuova guerra vicina ai confini europei, nell’aprile scorso sono affiorate, ancora una volta, controversie giuridiche legate a episodi del secondo conflitto mondiale che vedono protagonisti due Paesi oramai storicamente vicini e amici, Germania e Italia. Eine Klage unter Freunden, ha titolato il «Frankfurter Allgemeine Zeitung» il 18 maggio scorso. La controversia giuridica è legata alle stragi perpetrate sul suolo italiano da parte dell’esercito nazista e al trattamento riservato ai cosiddetti Internati militari italiani (Imi).

La lunga vicenda degli Imi ebbe inizio l’8 settembre 1943, quando circa 600 mila soldati italiani (ma la stima è al ribasso), posti di fronte alla scelta di continuare a combattere al fianco della Germania nazista e della Repubblica sociale, risposero negativamente. Furono per questo deportati nei campi di prigionia in Germania e per lo più costretti a lavorare per l’industria bellica tedesca fino alla fine della guerra, privati di ogni forma di tutela in forza della qualifica di «internati», sconosciuta alle convenzioni internazionali. La storia degli Imi fu a lungo ignorata, come a lungo fu impedito il loro accesso a un’adeguata forma di riparazione dei torti subiti, e non è mai riuscita a conquistare la rilevanza mediatica e l’attenzione dell’opinione pubblica che avrebbe meritato.

Il motivo di questa trascuratezza risiede in ragioni storiche e politiche. A partire dall’immediato dopoguerra, gli Imi hanno subito le conseguenze della complicità del regime fascista con quello nazista, per cui se da un lato era possibile riconoscere con difficoltà una prima forma di Resistenza tra le fila dello stesso esercito italiano, dall’altro la loro opposizione era interpretata da parte di esponenti conservatori come un tradimento e una vergogna da cancellare.

Lentamente, grazie ai racconti degli stessi internati, la loro storia è riuscita a emergere. Dal momento in cui si è presa coscienza della loro vicenda, è iniziata per gli internati italiani un’altra serie di traversie, quelle legate al faticoso tentativo di veder riconosciuto un risarcimento per i crimini di cui erano stati vittime. A partire dagli anni Novanta, per gli internati si sono dunque aperte lunghe e aspre battaglie legali, contraddistinte dal costante, pervicace rifiuto tedesco di riconoscere loro una riparazione e dal disinteresse della politica italiana, che non si è mai adoperata a sufficienza per trovare una soluzione, né a livello nazionale, né in dialogo con la Germania.

A partire dagli anni Novanta, per gli internati si sono aperte lunghe e aspre battaglie legali, contraddistinte dal costante rifiuto tedesco di riconoscere loro una riparazione e dal disinteresse della politica italiana

Tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio dei Duemila, anche sulla spinta delle richieste di indennizzo da parte di gruppi di lavoratori forzati di altri Paesi (si veda fra tutte l’iniziativa di risarcimento avviata soprattutto dai Paesi dell’Est Europa), un numero sempre maggiore di ex Imi ha infatti presentato presso i tribunali italiani pretese di risarcimento da parte della Germania, che in molti casi sono state accolte e hanno portato a una lunga serie di condanne contro lo Stato tedesco.

In reazione all’elevato numero di condanne da parte dei tribunali italiani, nel 2008 la Repubblica federale di Germania ha avviato presso la Corte internazionale di giustizia (Cig), l’organo principale dell’Onu con competenze giurisdizionali, un procedimento contro la Repubblica italiana, chiedendo alla Corte di dichiarare che l'Italia non aveva rispettato il principio consuetudinario dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile straniera, consentendo che venissero intentate azioni civili contro la Germania presso i tribunali italiani. L’intera vicenda sarà da quel momento in poi conosciuta come il caso Germania contro Italia. Con una sentenza emessa il 3 febbraio 2012, la Corte ha risposto positivamente alle pretese presentate dalla Germania, intimando quindi all’Italia di far cessare l’effetto delle decisioni interne riguardo alle pretese di risarcimento, ma suggerendo allo stesso tempo a entrambe le parti di trovare concordemente un modo per giungere alla soluzione della questione, che rimaneva in ogni caso aperta.

Al fine di dare piena esecuzione alla pronuncia della Cig, l’Italia ha da parte sua ottemperato in maniera immediata e completa attraverso iniziative di carattere sia giudiziario sia legislativo. Tuttavia, due anni più tardi, nel 2014, la Corte costituzionale è intervenuta, sollecitata dal Tribunale di Firenze. Con la sentenza numero 238 la Corte ha attivato la cosiddetta teoria dei controlimiti, in forza della quale ha inibito l’ingresso nell’ordinamento nazionale a norme di rango internazionale, per le quali la Corte stessa ravvisi un contrasto con i principi costituzionali fondamentali. Fra queste erano dunque comprese le sentenze della Cig.

Per quanto riguarda l’Italia, dal 2014 in poi, per quasi otto anni, la vicenda del caso Germania contro Italia è proseguita su quello che può definirsi un doppio binario: da un lato, attraverso ulteriori dimostrazioni di adattamento da parte del potere legislativo italiano alla pronuncia internazionale del 2012; dall’altro attraverso continue condanne al risarcimento ai danni della Germania da parte dei tribunali italiani, che si avvalevano ora anche della pronuncia della Corte costituzionale. D’altro canto, da parte tedesca, non vi è mai stato in questi stessi anni alcun tentativo di procedere verso una soluzione concordata, così come suggerito dalla Cig nel 2012. Si è mantenuto dunque a lungo un forte contrasto tra le pronunce delle due corti – la Cig e la Corte costituzionale – che ha avuto come unico effetto un prolungato e sterile stallo della vicenda.

Date le perduranti condanne di risarcimento da parte dei tribunali italiani e date le incombenti richieste di pignoramento di immobili tedeschi a Roma, la Germania ha deciso di presentare nuovamente domanda alla Corte internazionale

A dieci anni esatti dalla pronuncia della Cig, il 29 aprile di quest’anno, il caso Germania contro Italia sembra essersi tuttavia riaperto. Date le perduranti condanne di risarcimento da parte dei tribunali italiani e date le incombenti richieste di pignoramento di immobili tedeschi a Roma, la Germania ha infatti deciso di presentare nuovamente domanda alla Corte internazionale. Una iniziativa che naturalmente ha lo scopo di vedere ancora una volta condannata l’Italia per la persistente violazione del principio di immunità, nonché il ritiro dei pignoramenti attraverso l’applicazione di misure cautelari.

La richiesta di misure cautelari è stata poi ritirata dalla Germania a seguito della decisione, da parte del governo italiano, di istituire un fondo speciale «per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945». All’indomani della nuova domanda tedesca, il 30 aprile scorso, è infatti stato pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» il decreto-legge n. 36 (convertito ora in legge n. 79/2022), relativo a ulteriori misure attuative del Pnrr, al cui art. 43 è appunto prevista l’istituzione di tale fondo, sebbene costituito con risorse diverse da quelle stanziate per il Pnrr. La procedura per accedere al fondo concede una finestra temporale ristrettissima entro cui gli internati e le loro famiglie avrebbero potuto presentare domanda, scaduta già nello scorso giugno. Sono richiesti anche requisiti procedurali stringenti, che potranno inibire la possibilità di accedere al ristoro a quanti ora e in futuro otterranno una sentenza favorevole, con la condanna della Germania al risarcimento.

Rimane oggi in ogni caso pendente la domanda che la Germania ha presentato presso la Cig, che sarà dunque chiamata a esprimersi nel prossimo futuro. Allo stesso tempo i tribunali italiani continuano a condannare la Germania: da ultimo è da segnalare la pronuncia del Tribunale civile di Bologna che lo scorso giugno ha condannato la Germania al risarcimento delle vittime della strage di Marzabotto dell’ottobre 1944.

La misura risarcitoria prevista dal governo italiano non appare dunque risolutiva rispetto al caso Germania contro Italia. Il conflitto giurisdizionale tra due Stati vicini e amici, cofondatori dell’Unione europea, sembra destinato a protrarsi. In via certamente più immediata e attenta alle rispettive pretese, sarebbe invece opportuno tendere a una soluzione di carattere diplomatico, tramite un negoziato, come già suggerito ai due Paesi dalla Cig nel 2012.