A un mese dalla morte improvvisa di Flavia Franzoni, avvenuta il 13 giugno 2023, molti sono ormai i ricordi che ne hanno tratteggiato la figura umana e scientifico-professionale. Statura e notorietà della persona non potevano non suscitare profonda commozione, sincero affetto e apprezzamento per il percorso umano, intellettuale e civile, prima ancora che politico e, non ultimo, di fede. In contatto con tantissimi ambiti scientifici, professionali, politico-culturali e di impegno civile e religioso, Flavia Franzoni ha infatti conseguito un grande riconoscimento a livello locale e nazionale.
Completati gli studi scientifici liceali nella sua Reggio Emilia, dove era nata il 1o febbraio 1947, si iscrive alla neonata Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna nell’anno accademico 1966/1967. La Facoltà ha un impianto particolarmente innovativo con un biennio comune di insegnamenti di base e 4 indirizzi: storico-politico, economico-politico, politico-amministrativo e politico-sociale. Il clima che vi si respira è di grande ricchezza di stimoli e il ridotto numero di studenti – Flavia ha la matricola 269 – facilita i contatti con i docenti e tra gli iscritti. Conoscenze e amicizie nate in quegli anni di studio andranno a costituire un importante bagaglio culturale e relazionale che si porterà dietro per tutta la vita. Dopo il biennio propedeutico si iscrive all’indirizzo politico-economico e nel luglio del 1971 si laurea con Beniamino Andreatta, con una tesi dal titolo Determinanti di breve periodo nell’edilizia residenziale: alcune stime econometriche riguardanti il caso italiano.
In quegli anni la Facoltà di Scienze politiche vive forti interrelazioni con autorevoli istituzioni scientifico-culturali, come la Scuola di perfezionamento in Scienze amministrative (Spisa), il Centro di Studi sociali e amministrativi (Cssa) fondato da Achille Ardigò, l’Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo, il Centro di documentazione per le Scienze religiose fondato da Giuseppe Dossetti. Oltre queste istituzioni ve n’erano altre in un’orbita più vasta in cui operavano diversi docenti della neonata Facoltà, come l’Istituto Regionale Emiliano-Romagnolo per i Servizi sociali e sanitari (Iress), che in quegli anni gestisce una scuola di Servizio sociale diretta da Augusto Palmonari. Flavia Franzoni si inserisce nelle attività didattiche della scuola, iniziando così un proprio percorso di insegnamento e di ricerca scientifica, vicino, ma non così vicino, all’università, e ciò per sentirsi pienamente libera e autonoma, quasi a prevenire questioni di coniugio, che in anni più recenti hanno gettato tanto scompiglio in molti dipartimenti italiani. È dunque all’Iress che svolge i primi incarichi di docenza e conduce approfondimenti sui modelli organizzativi dei servizi sociali e sanitari tra cui, per esempio, l’analisi di alcune pionieristiche esperienze di assistenza domiciliare agli anziani.
Sempre in quell’ambito, sulla base di un progetto inizialmente promosso dall’Amministrazione per le attività assistenziali italiane e internazionali (Aai) nasce nel 1977 una nuova rivista pubblicata dal Mulino. Si tratta di “Autonomie locali e servizi sociali. Vademecum a schede”, diretta da Michele La Rosa,la cui realizzazione è dovuta a un ristretto gruppo fondatore di cui Flavia è componente apprezzata e quanto mai energica. Con il 1979 la rivista diventa quadrimestrale, e sin da allora Flavia è nella direzione. Le tematiche delle politiche sociali e dei modelli di Welfare e, più in particolare, dell’organizzazione dei servizi e degli interventi rivolti ai cittadini, costituiscono per lei non solo oggetto di ricerca, ma parte delle proprie “premure fondamentali”. L’anno seguente entra nella redazione di un’altra rivista, “S&P. Scuola e professione”. Con figli in età scolare, i temi della formazione e della scuola si collegano in modo inscindibile a convinzioni molto radicate nel proprio modo di pensare.
Con la chiusura dell’Iress come scuola di servizio sociale, quanti vi erano impegnati, non volendo disperdere la ricca rete di relazioni con le tante realtà di servizi e il patrimonio librario specialistico, si costituiscono nel 1980 in una cooperativa, con stessa denominazione, di cui Flavia ricoprirà i ruoli di vicepresidente prima e presidente poi, dal 1982 al 1997. Negli anni Ottanta, oltre all’attività di ricerca sociale e di formazione permanente in ambito socio-sanitario sotto l’egida dell’Iress, stavolta nella Scuola superiore di Servizio sociale di Verona. Il corso di “Politica dei servizi sociali” le offre un proficuo confronto con gli altri colleghi e con studentesse e studenti, provenienti soprattutto dal Triveneto. La conoscenza progressiva di quella realtà si consolida ulteriormente con l’incontro con la Fondazione Zancan, allora presieduta da monsignor Giovanni Nervo, primo presidente della Caritas, che svolge un importantissimo ruolo di ricerca sociosanitaria, divulgazione scientifica sulle tematiche del Welfare e formazione permanente degli operatori sociali e sanitari. Con gli anni Novanta prosegue il suo impegno in Iress, soprattutto attraverso ricerche sulla cooperazione sociale nei nuovi riassetti di Welfare (Verso il Welfare-mix: il ruolo della cooperazione sociale, 1998) e sul ruolo del socio lavoratore nelle cooperative di tipo a) e b) che si trovano sempre più strette tra finalità solidaristiche ed esigenze di mercato (E non voglio più servir, 1998).
Il progressivo impegno politico di Romano Prodi, con il quale si è unita in matrimonio nel 1969, impegno al quale aderisce con piena convinzione e coinvolgimento, non è per lei motivo di distacco dal proprio percorso scientifico e professionale, nonostante le giornate si facciano via via sempre più complesse e faticose. Pur seguendo da vicino le vicende politiche e istituzionali, in quegli anni si porta, per così dire, “il lavoro a casa”, anche in quelle “case temporanee” abitate a Roma e a Bruxelles. In questo è aiutata dai computer che trova in giro, di cui diventa utente “quasi provetta”, come lei stessa ama definirsi: così, grazie alle reti telematiche, spedisce da tavoli remoti i suoi testi, accompagnandoli talvolta con un laconico “ho prodotto”. Persino alcune visite di Stato diventano motivo di approfondimento dei sistemi di Welfare stranieri. Con sua grande soddisfazione, nei programmi di intrattenimento per le consorti dei capi di governo – stante anche la comparsa di alcuni mariti – compaiono sempre meno sfilate di moda e lezioni di Ikebana e sempre più visite a plessi scolastici e centri per l’integrazione degli adolescenti a rischio. Con l’inserimento della formazione dell’assistente sociale nella compagine universitaria, rientra come docente a contratto nella Facoltà di Scienze politiche di Bologna, dove dal 2003 al 2012 insegna nei corsi di Laurea e Laurea specialistica in Servizio sociale.
In anni più recenti, tornata stabilmente a Bologna, partecipa a una serie nutritissima di iniziative seminariali e di approfondimento sulle più svariate tematiche legate alle trasformazioni del Welfare, alla ricerca continua di “soluzioni” che, pur nella loro precarietà, siano in grado di consentire prospettive di esigibilità dei più fondamentali diritti sociali. Le sue riflessioni portano alla pubblicazione, nel 2003, del volume La rete dei servizi alla persona (Carocci), scritto con Marisa Anconelli, più volte ristampato e ampiamente adottato nei corsi in servizio sociale.
Il percorso di Flavia Franzoni è stato costellato di tanti incontri, come quelli con Maria Eletta Martini, Mariena Scassellati Sforzolini, don Luigi Ciotti, che contribuiranno all’approfondimento delle sue conoscenze sui temi del volontariato, dell’assistenza domiciliare in zone montane e delle comunità di accoglienza. In occasione del convegno “Bologna si prende cura” (2019), partecipa, tramite la rivista “Autonomie locali”, a una ricognizione delle tappe più qualificanti dell’evoluzione del Welfare cittadino; tema da ultimo ripreso e ampliato con il progetto “Memorie vive”, condotto con Graziella Giovannini e Bruna Zani nell’ambito delle attività dell’Istituzione Gianfranco Minguzzi e purtroppo ora interrotto proprio a causa della sua improvvisa scomparsa.
Se è vero che con il matrimonio Flavia Franzoni ha indubbiamente legato il suo percorso biografico a un contesto di insolita dimensione e spessore che si è via via accresciuto, è altrettanto vero che il suo percorso personale di crescita autonoma e creativo parte da lontano. Attingendo alla rete sociale di cui ha fatto parte per tanti anni, ha a sua volta offerto a quella stessa rete un contributo individuale denso di conoscenza, sensibilità e capacità interpretative, tratte da quella “provincia finita di significati”, per dirla alla Afred Schütz, propria degli approcci disciplinari che si occupano di Welfare e politiche sociali. In questo complesso “mondo del sociale” Flavia Franzoni è entrata con grande capacità di ascolto, preparata e determinata; e, nonostante un certo timore iniziale, ne ha imparato via via i linguaggi e le astuzie, conquistandosi sul campo un grande riconoscimento, pur sempre attraverso una postura semplice, sobria, di grande empatia. Ecco solo alcune delle ragioni alla base del grande vuoto che lascia nei tanti, incluso chi scrive, che l’hanno conosciuta e che hanno avuto la fortuna di lavorare con lei.
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