Al loro debutto, i media digitali avevano generato grandi aspettative circa il loro impatto positivo sulla democrazia. Avrebbero dovuto facilitare – così si pensava – la diffusione dell’informazione, creando una sfera pubblica più ricca, aperta e inclusiva, caratterizzata da un dibattito pubblico più ampio e pluralista. Fornendo un potente canale di espressione per le opposizioni democratiche e progressiste e per la società civile marginalizzata dai media mainstream e dalle agende politico-istituzionali. Le cose, però, non sembrano essere andate in questa direzione e il significato politico prevalente delle trasformazioni prodotte è ben diverso da quanto auspicato.
A dispetto della retorica comunitaria e paritaria della Rete e delle virtù della disintermediazione, fondate sulla libertà e gratuità di molti servizi e sulla accresciuta partecipazione di cittadini più informati e consapevoli, la colonizzazione commerciale della sfera online ha ampliato e rafforzato le risorse per una manipolazione dell’opinione pubblica particolarmente infida, solo in parte visibile. Da almeno un decennio, alla preoccupazione per i sistemi di sorveglianza statuale di massa se ne sono aggiunte altre, relative alle minacce di manipolazione dell’opinione pubblica attraverso notizie false, disinformazione mirata, diffusione del linguaggio d’odio. Le minacce a libertà di espressione e pluralismo, precondizioni per la formazione di una libera opinione pubblica, appaiono globali e, quel che è peggio in una società ampiamente digitalizzata, la Rete sarebbe il luogo principe di questa deriva della comunicazione.
La forte interdipendenza che si è venuta a creare fra il sistema dei media (televisione e testate giornalistiche) e l’universo social rende oggi necessario affrontare la questione del pluralismo partendo dal ruolo delle grandi piattaforme nei processi di formazione dell’opinione e dell’agenda pubbliche. Le ultime elezioni americane, Brexit, lo scandalo Cambridge Analytica hanno aumentato la sensibilità su quello che può essere considerato il cuore del problema: il traffico di dati, la profilazione approfondita dei cittadini, il targeting individualizzato. Continua però a prevalere la percezione che si tratti di rischi inevitabili e tutto sommato sopportabili rispetto ai benefici dei nuovi media digitali.
Del resto, per molti è semplicemente impensabile stare fuori dai social o non usare il più imponente motore di ricerca. Rete e social sono diventati una componente essenziale del modo di relazionarci con gli altri, e non utilizzarli sembra un lusso inaccessibile o una condanna all’esclusione. Sono diventati la nostra casa, il nostro bar, la nostra piazza e la nostra finestra sull’informazione, una informazione che però, come le inserzioni pubblicitarie, è sempre più «tagliata su misura» per ciascuno di noi.
[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 4/19, pp. 563-572, è acquistabile qui]
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