L’otto luglio del 1793 un ordine di arresto segna la fine della carriera politica del marchese di Condorcet. L’accusa è di essere un traditore e un nemico della Rivoluzione, per aver votato contro la nuova Costituzione proposta dai Giacobini. Braccato dai suoi persecutori, Condorcet si rifugia a casa di Madame Vernet, in rue Servadoni a Parigi. In casa della donna, l’intellettuale scrive quello che sarebbe diventato il suo testamento politico e morale, l’Esquisse d’un tableau historique des progrés de l’esprit humain, che è una delle testimonianze più significative dell’illuminismo. Non è soltanto la coincidenza di una data, scoperta per caso leggendo il bel libro di Anthony Padgen, The Enlightenment and Why It Still Matters (Oxford University Press, Oxford 2013), a spingermi a ricordare questo episodio della vita di Condorcet, una delle vittime più illustri del terrore rivoluzionario. Anche se devo confessare che il racconto degli ultimi mesi di vita del filosofo e matematico francese è di straordinario interesse anche alla luce della cronaca. La storia ci aiuta a comprendere meglio quanto sia difficile giudicare un drammatico cambiamento di regime mentre è in corso, e quanto rapidamente gli araldi della libertà possano trasformarsi in oppressori.
La ragione per cui vorrei richiamare l’attenzione dei nostri lettori su Condorcet non è per ricordare la sua persecuzione, ma per invitarli a riflettere su quanto egli scriveva in casa di Madame Vernet, fino a tarda ora, aiutandosi con la flebile luce di una candela per non attirare l’attenzione di chi lo stava cercando. Come Cicerone, Condorcet è a un passo dalla morte, ma scrive per il futuro. Consegna alla pagina le sue speranze per un mondo migliore, in cui la vita pubblica non sarà soltanto una lotta per l’acquisizione e la conservazione del potere: «le nostre speranze, sulla condizione avvenire della specie umana, possono ridursi a questi tre punti fondamentali: la fine dell’ineguaglianza tra le nazioni, il progresso verso l’eguaglianza in ogni popolo ed, infine, il perfezionamento reale dell’uomo».
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una straordinaria riduzione della distanza, in termini di benessere economico e di aspettative di vita, tra alcune nazioni. Tuttavia, siamo ben distanti dalla realizzazione della prima speranza di Condorcet e anche la seconda appare ancora molto lontana (per i Paesi occidentali, è avvenuto persino un regresso). Per quanto riguarda la terza, infine, non sapremmo nemmeno dare un contenuto definito.
Condorcet era certo che il perfezionamento reale dell’uomo e la riduzione della diseguaglianza in ogni popolo richiedessero un’eguaglianza nell’istruzione sufficiente a escludere «ogni dipendenza, sia obbligatoria che volontaria» in modo che la superiorità di alcuni possa diventare «un vantaggio per coloro che non la condividono» perché essa «esiste per essi e non contro di essi». Un principio che due secoli dopo sarebbe stato riformulato da un grande erede della tradizione illuminista, John Rawls, nella sua teoria della giustizia. Basta leggere poche pagine di Condorcet per rispondere alla domanda che si pone Padgen nel suo libro. L’illuminismo è ancora importante perché la speranza di un mondo in cui ci siano solo diseguaglianze giustificabili perché necessarie a vantaggio di ognuno è ben lontana dal realizzarsi. Abbiamo ancora molto da fare.
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