Il tema dell’educazione alla sessualità in Italia è uno tra i più controversi e divisivi. La cosa è comprensibile, considerato che la sessualità riguarda una sfera intima dell’esistenza, per cui qualsiasi tentativo di “intrusione” può, a buona ragione, suscitare timori, preoccupazioni e reazioni di chiusura. Tuttavia, perché una cosa sia controversa, non è un motivo sufficiente per non affrontarla e, soprattutto, per non interrogarsi sulla sua valenza socio-educativa. Ma facciamo qualche passo indietro.
Nel 1997, la World Association for Sexual Health (Was), durante il 13° Congresso mondiale di sessuologia, formula una dichiarazione (poi rivista nel 2014) che rappresenta un importante documento in cui si affermano i diritti fondamentali delle persone in relazione alla sessualità, alla salute sessuale e al benessere sessuale. Tra i punti in evidenza, si sottolinea il diritto all’educazione in materia di sessualità quale strumento fondamentale nella promozione dell'uguaglianza di genere, della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e della protezione dei diritti sessuali di tutte le persone, indipendentemente dall'orientamento sessuale, dall'identità di genere o da altre caratteristiche personali. La stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms), riprendendo questa dichiarazione, sottolinea come i diritti sessuali siano parte integrante dei diritti umani universali, poiché tutte le persone devono poter godere di una sessualità sana, sicura e soddisfacente, libera da discriminazioni, coercizione e violenza.
Il risultato di questa forte sinergia tra educazione alla sessualità e diritti umani si traduce, nel 2010, negli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità per la sessualità. L’iniziativa è lanciata dall’Ufficio regionale per l’Europa e offre un quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie e specialisti, con l’obiettivo di fondare su basi solide la necessità di fare educazione sessuale con le giovani generazioni. Il documento – che nel nostro Paese ha suscitato non poche polemiche – si divide in due parti: la prima, in cui si definiscono i principi e gli obiettivi propri di un’educazione sessuale “olistica”, ovvero comprensiva dei contenuti bio-medici ma anche sociali e culturali, capace di coinvolgere la vita biologica, psicologica e spirituale di ogni individuo; la seconda, dal taglio più operativo, in cui si presentano i tipi di intervento possibile in base alle differenti fasce d’età (target).
Sebbene nel nostro Paese da un po’ di tempo si contempli e si sottolinei l’importanza di un’educazione di genere anche all’interno di leggi e risoluzioni (ad esempio, per citarne solo un paio, la Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere, n. 6/2014, di cui la regione Emilia-Romagna si è dotata per prima in Italia e la Risoluzione n. 1488 della stessa regione, in tema di progetti volti all’educazione all’affettività e alla sessualità), i discorsi di istituzioni e politica, a livello nazionale, sembrano escludere la dimensione sessuata delle questioni di genere e un focus più mirato sull’ambito della sessualità. L’Italia, ad oggi, infatti, non ha una legge specifica che regoli l’educazione alla sessualità, né tanto meno che la regoli all’interno degli istituti scolastici. Oltre alla Legge che istituisce i Consultori familiari (1975), da cui prendono vita gli Spazi giovani, non si trovano documenti che offrano indicazioni per un intervento organico e strutturato all’interno dei contesti educativi formali. Ciò nonostante, sono varie le proposte di legge che, negli anni, sono state presentate per l’introduzione dell’educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole (con nomi, di volta in volta, leggermente diversi), ma nessuna di esse, però, è mai riuscita a ottenere l’approvazione. Questo dato ci riporta là dove abbiamo iniziato, ovvero al dover considerare che il tema della sessualità e, in particolare, della sua educazione, è qualcosa di molto complesso: chiama in causa molti attori (genitori, insegnanti, professionisti sanitari, politici) che possono avere interessi in contrasto tra loro, nonché l’ambito dei valori, territorio impervio e di difficile accesso, soprattutto per chi voglia imbarcarsi nell’ardua impresa di “normarlo”.
I discorsi di istituzioni e politica, a livello nazionale, sembrano escludere la dimensione sessuata delle questioni di genere e un focus più mirato sull’ambito della sessualità
Ma allora perché, se il campo è minato, dobbiamo occuparci di educazione alla sessualità? E perché a scuola (o anche a scuola)? Perché le sfide legate alla sessualità e alle relazioni affettive, pur nella loro complessità (o proprio per quella), necessitano di un approccio informato e consapevole e di figure adulte preparate che concorrano all’esercizio di quei diritti di cui si è detto poco fa. Se la scuola rappresenta il luogo in cui si combattono e si contrastano le disuguaglianze, poiché offre strumenti a tutti e a ciascuno affinché possano emanciparsi e realizzare i propri progetti di vita, essa non può prescindere di occuparsi – con il dovuto rispetto dei tempi evolutivi del target – di temi (quali genere, sesso, identità…) che si presentano spesso come territori di discriminazione e di svantaggio.
In questo senso, l’educazione alla sessualità può iniziare “dalla nascita” – affermazione che spaventa, soprattutto chi la confonde con una precoce sessualizzazione – poiché fin dalla nascita entriamo in relazione, conosciamo il nostro corpo, esploriamo il mondo, apprendiamo i limiti e i confini, l’importanza di chiedere il permesso e il diritto di dire “no”, o per lo meno dovremmo. E questo non ha nulla a che vedere – come hanno sottolineato a gran voce i movimenti “No Gender” in risposta agli standard Oms – con l’insegnare la masturbazione o l’omosessualità al nido (che, peraltro, non sono “insegnabili”…), bensì ha a che fare con l’importanza di educare – sin dalla prima infanzia – tra le altre cose, a nominare le emozioni, a riconoscerle, a imparare a contenere una frustrazione, ad accettare un “no”, a rispettare il corpo proprio e altrui, a riconoscere cosa piace e cosa no, e così via. Questa, comunque si voglia chiamarla, e che ci piaccia o no, è un’educazione che ha a che fare con la sfera dell’affettività e della sessualità. Ne è alla base.
E su cosa si dovrebbe concentrare questo tipo di educazione? Riprendendo principi e obiettivi dei documenti citati, dovrebbe in primis fornire informazioni chiare e accurate, basate sulle evidenze scientifiche riguardo all'anatomia, alla fisiologia e al funzionamento sessuale, per superare tabù e falsi miti che tanto preoccupano, ad esempio, generazioni di pre-adolescenti e adolescenti il cui immaginario legato alla sessualità si è formato sulle grandi piattaforme di pornografia. Un’informazione corretta è alla base di qualsiasi obiettivo di prevenzione e riguarda anche la salute sessuale, le gravidanze indesiderate ed eventuali disagi emotivi legati alla sfera della sessualità. Accanto a un approccio preventivo – che, a volte, se unico orizzonte, può mettere in luce solo i rischi e, quindi, finire per far associare la sessualità a qualcosa di pericoloso –, è bene promuovere un atteggiamento positivo, che abbia come obiettivo quello di rendere i soggetti autonomi nel perseguire il proprio benessere, anche sessuale (autodeterminazione). Attraverso un approccio che enfatizza il consenso, il rispetto e la comunicazione efficace, infatti, i soggetti possono sviluppare competenze relazionali sane che permettano loro di prendere decisioni consapevoli riguardo alla propria sessualità.
Investire in un'educazione sessuale completa e accessibile rappresenta un elemento chiave per il progresso sociale, la promozione della salute e il benessere individuale e collettivo
Infine – ed è questo è l’aspetto che più si collega con le leggi e gli orientamenti già in vigore nel nostro Paese, nonché che più risponde a una delle grandi piaghe che caratterizzano le nostre cronache quasi quotidiane – l'educazione alla sessualità svolge un ruolo cruciale nella prevenzione dell'abuso sessuale e della violenza di genere. Fornendo informazioni sulle dinamiche della violenza, sulla segnalazione e sull'importanza del rispetto reciproco nelle relazioni e affrontando e approfondendo temi che vanno dall’identità di genere all’orientamento sessuale, dalla diversità sessuale alla pluralità di forme relazionali e familiari, contribuisce a creare un ambiente inclusivo in cui ogni individuo possa sviluppare e vivere la propria sessualità in modo libero, senza pregiudizi, riducendo il rischio di discriminazione e favorendo un senso di appartenenza e accettazione.
Investire in un'educazione sessuale completa e accessibile rappresenta quindi un elemento chiave per il progresso sociale, la promozione della salute e il benessere individuale e collettivo. Se su questo (forse) siamo d’accordo, resta ora da risolvere il grande tema di chi si debba assumere questo compito educativo. E, nel caso si concordi che ciò spetti (anche) alla scuola, ci si dovrà preparare affinché il corpo docente venga formato adeguatamente rispetto ai contenuti, ai metodi e alle età. Nessuna generazione prima d’oggi ha ricevuto un’educazione all’affettività e alla sessualità degna di questo nome, né l’hanno ricevuta le migliaia di persone abilitate all’insegnamento nei loro percorsi di formazione. Accanto alle proposte di legge, dunque, bisognerà pensare anche a un curriculum formativo adeguato che sia in grado di preparare chi sarà chiamato, oggi per volontà personale, ma un domani – ci auguriamo – per mandato, a svolgere questo delicato ma importantissimo compito educativo.
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