All'inizio di dicembre la "Frankfurter Allgemeine Zeitung" riportava come, nel corso dell'inchiesta sul gruppo neonazista tedesco Clandestinità nazionalsocialista (Nsu, Nationalsozialistischer Untergrund), fosse emerso che una delle formule escogitate per autofinanziarsi passava attraverso la progettazione e la realizzazione di un gioco da tavolo. Pogromly, ideato nel corso degli anni Novanta e ricalcato su Monopoly, presentava, invece del solito Parco della Vittoria, toponimi come Auschwitz e Dachau, una svastica nella casella del via, stelle di Davide e simboli SS. Venduto a 100 marchi la scatola, il gioco ha contribuito sia a fare cassa, sia a diffondere idee antisemite e razziste da parte di un gruppo cui si imputa una decina di incendi dolosi contro case di immigrati turchi. Estremisti violenti da cui forse ci si aspettava poco questa sorta di divertissement nazista, foss'anche a scopo di lucro.
Tuttavia, non va dimenticato che i giochi da tavolo hanno avuto un ruolo già sotto il nazismo: è il 1936 quando la ditta Günther & Co. di Dresda mette in vendita Juden raus!, gioco in cui le pedine – omini abbigliati come nel medioevo – devono percorrere i tracciati interni di una città cinta da mura cercando di raggiungere, privare delle proprietà e catturare il maggior numero di ebrei – rappresentati come coni gialli con raffigurata l'effigie di un viso deformato in smorfie – calzandoli come cappelli. Chi raggiunge la quota di sei e riesce a cacciarli dal paese mettendoli in viaggio per la Palestina è dichiarato vincitore. Il gioco fu realizzato l'anno successivo all'emanazione delle leggi di Norimberga, tuttavia non per iniziativa del regime, ma da parte di una zelante azienda, approfittando dell'occasione per creare (e soprattutto vendere) uno strumento di diffusione tra i bambini della cultura antisemita e di un possibile progetto risolutivo alla “questione ebraica”. Purtroppo per Günther & Co., le SS non giudicarono positivamente l'idea, tacciandola, sulla rivista "Das Schwarze Korps", di trivializzare gli ideali razziali (ovvero razzisti) solo a scopi di vendita.
Non conosciamo quindi l'effettivo successo di Juden raus!, ma sappiamo che non fu l'unico gioco prodotto negli anni del nazismo: nel periodo bellico ne seguirono altri, che tuttavia furono in realtà dei più consueti “giochi di guerra”, anche se maggiormente raffinati rispetto ai soliti soldatini, in cui si doveva bombardare l'Inghilterra o dare la caccia ai ladri di carbone (testimoniando due fasi ben diverse del conflitto). Sono pochissimi gli esemplari di Juden raus! visibili oggi: uno è conservato presso il Museum of Jewish Heritage di New York, l'altro nella Wiener Library di Londra, appena riaperta nella nuova sede di Russel Square: una ricca raccolta di documenti, pubblicazioni, fotografie e oggetti sul nazismo e, come i curatori tengono a sottolineare, il più antico archivio sulla Shoah. Il suo fondatore, Alfred Wiener, era un ebreo tedesco che nel 1933 si rifugiò ad Amsterdam, dove fondò il Jewish Central Information Office con lo scopo di raccogliere informazioni sulle attività naziste, in particolare quelle antisemite. Nel 1939 il suo archivio venne spostato a Londra e le informazioni messe a disposizione degli inglesi, dell'intelligence e anche dei media. Negli anni che seguirono la fine del conflitto l'archivio continuò a crescere, raccogliendo oggetti, documenti e testimonianze. Tra questi anche i materiali nazisti rivolti ai bambini, come i libri e i giochi.
Non sappiamo se conoscesse questi svaghi nazisti l'artista polacco Zbigniew Libera, autore nel 1996 (proprio quando Uwe Mundlos, Uwe Böhnhardt und Beate Z. di Nsu elaboravano Pogromly) di un'opera che ha suscitato polemiche alla sua apparizione: Lego Concentration Camp. Una serie di kit dei famosi mattoncini colorati in grado di riprodurre le diverse articolazioni di un campo di sterminio, dai crematori alle baracche, ai Kanada traboccanti di abiti (che per un omino Lego significa l'intero busto o le gambe, accentuando l'orrore). L'intento, tuttavia, era assolutamente contrario sia a una presa in giro banalizzante, sia all'adesione derisoria: anzi, si trattava di un serissimo progetto per mostrare come i campi fossero realizzati per moduli, potenzialmente estensibili all'infinito, costruibili in breve tempo in tutti i luoghi in cui ci fosse un contesto favorevole, come la presenza di linee ferroviarie e materie prime da sfruttare. Moduli riproducibili anche adesso, volendo, soprattutto grazie alla facilità di progetto e montaggio studiata e sperimentata dai tecnici nazisti, ma, in altre forme e modalità, anche in vicende precedenti (la guerra anglo-boera), parallele (gulag) o successive (negli anni Novanta, come non avere negli occhi i campi in ex-Jugloslavia e gli uomini ridotti a scheletri?). Facciamo attenzione ai giochi, sono una cosa seria.
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