Le ragazze con la valigia. Sinfisiotomia: a volte basta una parola per capire molte cose. Questo termine medico un po' oscuro può far capire molto meglio di tanti discorsi di principio su cosa si è votato in Irlanda il 25 maggio.

La scheda del referendum in realtà poneva una domanda molto semplice: “Volete voi abolire l’ottavo emendamento alla Costituzione?”. Approvato nel 1983, l’emendamento modificava l’articolo 40 ed equiparando la vita della madre a quella del nascituro limitava pesantemente i casi in cui era possibile l’aborto legale nella Repubblica.

Ma il dibattito che ha portato al voto è stato un doloroso confronto che ha riaperto ferite laceranti, ferite non metaforiche inflitte alle donne dell’isola e rimaste taciute e tacitate per tanti anni. L’Irlanda che oggi vediamo come un Paese all’avanguardia ha ancora qualche questione in sospeso con un passato di povertà, sottomissione alla Chiesa cattolica e rassegnazione a un destino di emigrazione che molti si ricordano ancora bene.

Di quel periodo sanno dire qualcosa le 168.703 donne che tra il 1980 e il 2016 hanno “viaggiato”, come si diceva con un eufemismo, verso il Regno Unito per terminare una gravidanza indesiderata. Una cifra enorme in proporzione a un Paese di meno di 4 milioni di abitanti, e che non tiene conto di tutte quelle donne che non rientrano nelle statistiche del NHS (il National Health Service britannico), che registrano chi ha dichiarato un domicilio irlandese ma non possono contemplare chi ha “fatto da sé”, acquistando semplicemente una pillola abortiva oppure viaggiando verso altri Paesi europei, come l’Olanda.

Gran Bretagna e Olanda sono ancora oggi meta di viaggi perché sono i Paesi europei con i temini più ampi per interrompere le gravidanze, consentendo gli aborti rispettivamente fino alla 24° e alla 22° settimana. Dopo questo voto, l’ultimo Paese europeo a proibire totalmente l’aborto (prevedendo anche condanne penali per chi lo fa o lo facilita) rimane Malta, assieme ai microstati non-UE di San Marino, Vaticano e Andorra.

Il movimento a favore dell’abrogazione ha avuto un grande supporto da parte delle celebrità. La comica Gráinne Maguire, di cui avevamo parlato tre anni fa, è stata solo una delle tante che nel corso del tempo ha dato voce a un movimento che non ha avuto fretta e ha saputo mantenere salda la rotta. Il consenso è stato costruito sui fatti, con le tante associazioni femminili che hanno fatto emergere storie di violenza e cure negate, a partire da quella di Savita Halappanavar, morta nel 2012 perché le era stato rifiutato un aborto terapeutico all’ospedale di Galway, nell’ovest conservatore, con la giustificazione che l’Irlanda era “un Paese cattolico”.

La vittoria del sì, ha detto appena il giorno prima il premier Leo Varadkar (giovane, omosessuale e di ascendenza mista), era attesa con “moderato ottimismo”. Ma nemmeno lui che ha promosso il referendum si aspettava una partecipazione che ha sfiorato il 70% e un favore così ampio e trasversale. A Dublino il 77%, ma nelle aree più conservatrici del Connacht, nell’ovest, si è arrivati al 59%. Non proprio una maggioranza risicata.

Tra i giovani il sì ha raccolto l’85% dei consensi, ma anche tra gli ultra-65enni, più conservatori e orientati al no, la percentuale di favorevoli è stata del 40%. L’unica, prevedibile, contea a favore del no è stata il Donegal, nell’estremo nord-ovest, dove comunque la proporzione è stata del 51,9% contro 48,1%. Non prevista è stata anche l’enorme affluenza di residenti all’estero, che per l’occasione sono tornati in massa a votare, e a votare sì.

Già in marzo il governo aveva reso pubblico il disegno di legge che avrebbe presentato per regolare l’interruzione volontaria di gravidanza, se il referendum avesse abolito l’attuale emendamento. Una legge equilibrata, molto simile alla nostra 194 che ha da poco compiuto 40 anni: fino a 12 settimane aborto senza giustificazioni, con periodo di riflessione tra decisione e intervento. Oltre, possibile solo in caso di pericolo per la donna o per gravi malformazioni del feto. Il quesito referendario era semplice perché i votanti sapevano già cosa sarebbe successo in seguito a una vittoria del sì.

Una lezione di democrazia e di buon senso, insomma. Un "update" dell'Irlanda, come lo ha definito l’editorialista politico dell’Irish Times, Harry McGee.

E cosa c’entra quindi la sinfisiotomia?

La sinfisiotomia è una pratica di divaricamento delle ossa nel caso di bacino stretto, ma ha avuto una piccola diffusione come alternativa al taglio cesareo verso la fine dell’Ottocento. Quando il taglio cesareo è diventato progressivamente più sicuro, è stata abbandonata ovunque tranne che in Irlanda. Come mai?

In Irlanda le donne avevano molti figli e capitava che molte partorissero più volte con taglio cesareo. I medici però ritenevano pericoloso eseguire più di tre tagli sulla stessa persona, quindi a queste sconsigliavano ulteriori gravidanze. Per non avere altri figli, però, la donna (certamente non l’uomo) avrebbe dovuto sottoporsi a sterilizzazione oppure prendere degli anticoncezionali, pratiche entrambe incompatibili con la fede cattolica.

Dal 1948, i dirigenti medici del reparto di ostetricia dell’ospedale di Dublino, cattolici intransigenti, decisero di riutilizzare questa tecnica per non mettere in pratica un controllo delle nascite. Senza chiedere permessi né alle partorienti né alle loro famiglie, quando lo ritenevano opportuno incidevano la sinfisi, l’insieme di cartilagini e legamenti che collega i due pubi, e allargavano forzatamente il bacino per permettere alla donna di partorire naturalmente.

Oltre 300 donne sono rimaste invalide, incontinenti, zoppe e preda di atroci dolori per tutta la loro vita, e se ne sono dovute stare zitte perché venivano colpevolizzate oppure non erano credute. Le ultime sinfisiotomie sono state eseguite nei primi anni ’80, guarda caso gli anni in cui è stato approvato l’ottavo emendamento che oggi è stato abrogato.

Non si è votato soltanto per cambiare una legge antiquata e ipocrita. In questo voto storico gli irlandesi, donne e soprattutto uomini, hanno fatto capire chiaramente che non vogliono più avere a che fare con i mostri generati da un lunghissimo sonno della ragione. Per questi non c’è posto in un Paese moderno.

 

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