Se l’uomo Ryanair dice "sì". In Italia non tutti conoscono Michael O’Leary, il vulcanico inventore del «supplemento toilette» e di altre fantasiose tariffe che si trovano solo in certi voli low-cost. Moltissimi però hanno viaggiato, e probabilmente viaggeranno, sui velivoli della sua Ryanair, la compagnia irlandese che grazie ai prezzi stracciati si è imposta sul mercato dei vettori a basso prezzo.
Il paladino dell’impresa privata e del libero mercato, temendo una nuova bocciatura del trattato di Lisbona, a suo parere essenziale per ridare ossigeno all’economia, si è attivato in prima persona nella campagna in vista del 2 ottobre. Sarà quello il giorno in cui gli irlandesi verranno chiamati per la seconda volta a un referendum sull’adesione alla carta, che in quel Paese necessita anche di una modifica costituzionale. Europeista per convenienza, come scrive l’«Irish Independent», il signor Ryanair ha fatto dipingere un grosso «Yes to Lisbon» su uno dei suoi nuovi Boeing 737, e saltellando da Dublino a Knock (nella contea di Mayo, nel Nord Ovest), al Kerry (estremo Ovest), e infine di nuovo a Dublino, ha tenuto dei mini-comizi a bordo dell’aereo e nei piccoli aeroporti regionali, accompagnato da alcuni giornalisti e dal commissario europeo ai trasporti, Antonio Tajani.
Forse il Paese, che poco più di un anno fa vantava la quasi piena occupazione e si ritrova ora con 500.000 disoccupati su una forza lavoro di 2.000.000, non ha bisogno di molti convincimenti per aggrapparsi al salvagente europeo, ma in molti hanno pensato che non fosse il caso di rischiare. Lo stesso Tajani ha ricordato che pochi Paesi come l’Irlanda hanno usufruito dei fondi europei per lo sviluppo regionale (che hanno favorito proprio lo sviluppo, oltre che delle imprese, anche di quei piccoli aeroporti), e un «no» stavolta non sarebbe preso con troppa filosofia a Bruxelles. I sondaggi indicano che oggi il 60% degli irlandesi conosce almeno a grandi linee i contenuti del trattato (mentre prima del precedente referendum non rappresentavano che il 44%) e prevedono che i votanti saranno molti più del 53% registrato il 12 giugno 2008.
Ma qualcuno è ancora attivo sul fronte del «no»: l’organizzazione cattolica Cóir («giustizia») paventa che l’Europa possa costringere l’Irlanda ad adottare una legge sull’aborto, e diminuirle i sussidi all’agricoltura e all’allevamento, settori ancora decisivi nell’economia. A costoro si sono allineati, in modo abbastanza curioso, estremisti di destra come i nazionalisti inglesi dell’Ukip e i fascisti del British National Party, che si interessano anche dei loro vicini pur di boicottare l’Unione, e di sinistra, come il Sinn Féin che teme un abbassamento del salario minimo garantito. Laburisti, Fine Gael e Fianna Fáil, questi ultimi maggioranza al governo in una coalizione di centrodestra, contestano queste campagne come populiste e fuorvianti.
Il governo di Brian Cowen, succeduto al longevo Bertie Ahern, si sta impegnando per convincere l’elettorato a non interpretare questo voto come un giudizio sull’amministrazione (già bocciata in occasione delle ultime europee), ma a considerare il bene collettivo che deriverebbe dall’approvazione. Tuttavia, più che al senso dello Stato o ai richiami della fede, sembra che stavolta i pratici irlandesi guarderanno al conto della massaia. L’ultima a fuggire in ordine di tempo è stata la Dell, uno dei più grandi produttori di hardware al mondo: proprio l’Europa ha appena dato il via libera a un sussidio di 56 milioni di euro da parte della Polonia per convincerli a trasferire il loro quartier generale europeo dall’Irlanda. Notizie come questa valgono più di molti appelli ideologici, e dovrebbero contare parecchio nel convincere almeno un po’ di quel 53% di irlandesi che l’anno scorso si sono espressi con un secco e traumatico «no».
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