L’intervento del presidente Barack Obama all’assemblea generale dell’Onu segna uno spartiacque nella politica estera degli Stati Uniti. Dopo otto anni di arroganza neo-isolazionista, intessuta di insofferenza per il multilaterialismo e le organizzazioni internazionali, di interventismo con coalizioni à la carte circondandosi di servizievoli “yes-country”, gli Usa ritornano a concepire le relazioni internazionali in una ottica di interdipendenza e di cooperazione. L’unilateralismo e l’arroganza da iper-potenza vengono archiviate insieme ai suoi insuccessi. Ma non è solo una valutazione dei risultati (disastrosi) dell’amministrazione Bush ad aver modificato l’impostazione della presidenza Obama. Siamo di fronte a un vero e proprio riallineamento culturale che modifica anche l’approccio clintoniano e ritorna semmai ai buoni propositi (distinti dalle cattive azioni) di John Kennedy.
Anche Bill Clinton, alla guida di un Occidente euforico per la vittoria sul comunismo, tendeva, pressato anche dalla maggioranza congressuale repubblicana, a svilire il multilateralismo e a muoversi in autonomia (del resto, i contributi non versati all’Onu risalgono alla sua presidenza…). Soprattutto non confezionava la propria politica estera con i concetti più volte espressi da Obama e ora solennemente dichiarati all’Onu: la possibilità della “convivenza pacifica” tra tutti gli stati, l’esistenza di problemi comuni – povertà, riscaldamento ambientale, pandemie e armi di distruzione di massa – la disponibilità dell’America a guidare un processo condiviso di sviluppo e pacificazione, la centralità delle organizzazioni unilaterali e, quindi, del dialogo.
Questa rivoluzione copernicana della politica estera americana, opposta di 180o a quella dell’amministrazione Bush, è stata accolta dal nostro governo con espressioni di grande apprezzamento. Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi non ha esitato a dichiarare che si riconosceva in pieno nelle parole di Obama. Ancora una volta il nostro premier si è dimostrato un funambolo d’eccezione, compiendo un vero e proprio doppio salto mortale. Chi aveva condiviso tutte le scelte condannate da Obama ed era volato negli Stati Uniti appena un anno fa per abbracciare e consolare l’amico Bush, definendolo in quell’occasione uno dei più grandi presidenti della storia americana, se non Berlusconi? Eppure, tutto ciò non conta, non esiste proprio in un paese come il nostro dove vige un orwelliano “benpensare” inculcato dal grande capo. Dimenticati anche i Gasparri che dichiararono all’indomani dell’elezione del presidente democratico che “Al Qaeda sarebbe stata contenta”, il presidente del Consiglio annusa il nuovo clima internazionale pro-Obama e si accoda per sfruttarne la scia. L’ultima dimostrazione di una Italietta da giro di valzer, che non osa difendere le proprie scelte né fare autocritica sul passato.
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