Spesso la mancanza di memoria gioca brutti scherzi nella vita di tutti i giorni, ma nella storia corre il rischio di essere ancora più pericolosa. In particolare, nel mondo della finanza ci sono fior fiore di teorie e voluminose ricerche a testimoniarlo, è forte la propensione a dimenticarsi del passato, anche quello recente, e a concentrarsi unicamente sulle vicende quotidiane e sugli indici di borsa del giorno prima o del giorno dopo. Ed è più o meno questo il timore che negli ultimi tempi sta facendo venire i brividi a molti esperti e commentatori.

Si dice, in sostanza, che dopo la crisi, e una volta tornato il sereno con le quotazioni che cominciano nuovamente a salire, le dure reprimende alla finanza allegra che tanti guai ha generato tornano nell’oblio, e che gli ambiziosi progetti di nuove regole vengono rapidamente messi da parte. A questo si aggiunge il fatto (vero) che le mai sopite lobbies bancarie fanno sentire la loro voce: illuminante la discussione al Parlamento americano sulla riforma proposta da Obama e il faticosissimo cammino delle nuove regole per tutelare meglio i risparmiatori. Nel frattempo i governi intervenuti direttamente nel capitale delle banche per salvarle hanno le loro belle gatte da pelare, dovendo quotidianamente fronteggiare la rabbia dei cittadini per i soldi spesi, soldi, che in un periodo nel quale si è costretti a tirare la cinghia, potevano prendere più utili destinazioni. E a prima vista non sembrano certo consolanti le polemiche dell’ultimo G 20 in terra scozzese che ha visto per l’ennesima volta proposta la Tobin tax per frenare la speculazione internazionale, questa volta da Gordon Brown, e ancora per l’ennesima volta respinta, questa volta dal ministro del Tesoro statunitense Tim Geithner. Insomma, l’impressione che viene trasmessa è quella di tante belle intenzioni, ma un cammino ancora troppo lento e indeciso dietro il quale, secondo molti, c’è la non tanto celata speranza che il peggio sia passato e che quindi tanto vale prendersela comoda con le nuove regole. Come sempre, e al di là della buona dose di populismo che garantisce sempre qualche applauso quando si accusano le banche come gli untori del nuovo secolo, le cose sono un po’ più complicate e richiedono un grande sforzo di equilibrio. Innanzitutto deve rimanere sempre ferma e minacciosamente presente la memoria della crisi, ma non si deve nemmeno dimenticare che grazie alla finanza la nostra vita è ora molto più comoda e facile. Prevenire gli eccessi non significa brutalizzare ogni capacità di innovazione con regole draconiane che riportino le banche alla funzione di utilities (anche perché non è proprio che le utilities siano uno straordinario esempio di efficienza gestionale!) e soprattutto la crisi non deve trasformarsi nel comodo escamotage per riportare il credito sotto il controllo pubblico. Nei paesi come il nostro (ma siamo stati in buona compagnia anche con Spagna e Germania da poco usciti da una invadente influenza politica nel settore creditizio) tornare indietro sarebbe un incubo, e in quelli che hanno visto entrare lo stato nelle banche in difficoltà l’exit strategy deve essere il primo obiettivo. Ed anche il rafforzamento dei controlli con l’opportuno incremento delle soglie di capitale deve essere attentamente modulato, per non costringere le banche a sottrarre risorse al finanziamento di un sistema produttivo ormai notoriamente strozzato. Non si può pretendere stabilità e cioè solidi presidi patrimoniali, e nello stesso tempo chiedere di avventurarsi in politiche creditizie a briglia sciolta, fuori da ogni logica imprenditoriale. E l’indecenza dei bonus non può diventare l’alibi per non affrontare l’esigenza di una disciplina equilibrata e corretta di un sano e positivo sistema di incentivi nelle retribuzioni. Chi si esprime in questi termini, in un contesto dove più si urla più ci si fa sentire, corre il rischio di essere scambiato come il solito gattopardo che non vuol cambiare niente, ma è l’esatto contrario: i veri cambiamenti sono proprio quelli che rifuggono da un massimalismo parolaio spesso ridotto al più assoluto nulla. A questo proposito un ultimo consiglio al lettore. Dopo aver visto sui quotidiani i resoconti del G 20 di sabato scorso vada sul sito del Financial Stability Board e, armandosi di pazienza, legga i report presentati. Sicuramente una lettura un po’ più noiosa ma utile per comprendere come i regolatori, in mezzo indubbiamente a resistenze e contraddizioni, stiano avviando un faticoso processo per garantire condizioni di stabilità dei mercati, facendoli funzionare decentemente. L’esito non è affatto certo e la strada è ancora lastricata di ostacoli, ma sarebbe veramente incosciente aggiungerne altri con inutili fughe in avanti.