I tragici eventi di Fukushima si sono verificati in un momento in cui la tecnologia nucleare stava vivendo una sorta di rinascita, dopo gli anni di paura, prima, e disinteresse, poi, seguiti alla catastrofe di Chernobyl. Le prime reazioni da parte dei Paesi nuclearisti, o da parte dei Paesi che, come l’Italia, si preparano a esserlo, sono state quelle di attuare rigidi controlli alle centrali esistenti e di riconsiderare almeno in parte i loro programmi nucleari.
Nel nostro Paese, c’è chi considera doveroso testare la sicurezza delle centrali, essendosi modificata la percezione del rischio nei confronti del nucleare, ritenendo tuttavia irrazionale l’eventuale decisione di cancellare la normativa esistente a favore del suo sviluppo. Ma il programma nucleare è nato sull’onda di una pressione economica e strategica di alcuni settori industriali e finanziari e non è stato valutato in maniera trasparente dal punto di vista della tecnologia stessa, dell’esistenza di fonti energetiche alternative e dell’incertezza economica. Paradossalmente, in assenza di un confronto, anche l’alternativa del “non fare” e la scelta di rimanere allo status quo potrebbe essere la scelta migliore, almeno in questa fase dell’economia mondiale.
A ogni tecnologia energetica occorre un tempo necessario per trarre esperienze utili alla progettazione delle soluzioni tecnologiche successive. A partire dal dopoguerra, per aumentare la quota di mercato in tempi ridotti, lo sviluppo del nucleare è avvenuto molto velocemente, senza considerare il contesto ambientale e sociale in cui la centrale si inseriva. Impossibile non interrogarsi in questi giorni sulla validità dei sistemi di sicurezza delle centrali giapponesi (padri degli attuali prototipi EPR in costruzione in Europa.
Fin dall’inizio, il problema delle scorie nucleari è stato trascurato e a tutt’oggi è ancora irrisolto. In Italia, prima o poi, dovremo decidere il destino dei rifiuti prodotti nelle nostre centrali, ormai non più operative (Latina, Trino, Garigliano e Caorso). Queste scorie verranno molto probabilmente stoccate nei pressi delle centrali dalle quali sono partite, rimanendo esposte a eventi di ogni tipo (terrorismo, terremoti, degradazione dei materiali ecc.), che in un attimo potrebbero cambiare profondamente la nostra vita e quella di molte generazioni successive.
Tutti noi siamo tanto eredi di un passato quanto responsabili di un futuro: nell’era dello sviluppo sostenibile le valutazioni in merito alle scelte energetiche devono coinvolgere sempre gli interessi sia delle generazioni attuali sia di quelle future e ci obbligano quindi a profonde riflessioni anche dal punto di vista etico.
Il processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica sta dando da alcuni anni la possibilità a chiunque lo desideri di contribuire attivamente alle scelte in materia energetica. Si può infatti decidere quale tipo di energia acquistare (rinnovabile o fossile), da chi acquistarla, se produrla autonomamente o risparmiarla attraverso tecnologie più efficienti e comportamenti virtuosi. In Italia lo sviluppo delle fonti alternative di nuova generazione (fotovoltaico, eolico, biogas) sta aumentando la capacità elettrica rinnovabile esistente (idroelettrica e geotermica), contribuendo a ridurre ogni giorno con fonti locali e gratuite la nostra dipendenza energetica dall’estero. Nel 2010 si stima che siano stati installati 120.000 impianti fotovoltaici, pari a una potenza complessiva di 2.200 mW. Buone potenzialità risiedono anche nell’eolico, nel solare termico e nel biogas, dal quale si può produrre elettricità, calore e anche combustibile per autotrazione; per non parlare delle ingenti opportunità derivanti da misure di risparmio ed efficienza energetica.
A livello europeo e internazionale l’offerta di energia da solare ed eolico è cresciuta rapidamente negli ultimi dieci anni, rispettivamente del 25% e del 9,8%, tassi di molto superiori al tasso di crescita annuale dell’offerta mondiale di energia primaria, pari all’1,9%. Lo sviluppo di queste fonti ha dato un grande impulso agli scambi commerciali mondiali delle tecnologie necessarie per produrle. Simili risultati annunciano la nascita di una nuova filiera che può generare effetti positivi per la società in termini di lavoro, generazione di reddito e tutela ambientale.
L’urgenza del problema energetico richiede uno sviluppo ancora più veloce di tali tecnologie, in un’ottica, almeno in linea teorica, di possibile, futura autosufficienza. Con l’annunciata chiusura di 7 centrali nucleari e una intensificata strategia di sviluppo delle fonti rinnovabili, questa è sembrata essere, ad esempio, la strategia della Germania in risposta agli eventi di Fukushima.
L’eventuale mantenimento o intensificazione di scelte politiche a favore della tecnologia nucleare dovrebbe confrontarsi senza pregiudizi con i potenziali costi e benefici dell’efficienza energetica delle fonti rinnovabili, in particolare nel caso la decisione comporti l’allocazione della (scarse) risorse finanziarie. Del resto, come è ovvio, una corretta valutazione dei costi del nucleare dovrebbe includere anche quelli legati ai danni umani ed economici derivanti da possibili incidenti.
Riproduzione riservata