Lontana dai cittadini, lontana dai loro bisogni, fonte di obblighi vessatori e delle restrizioni dei diritti che essi hanno subito, l’Europa va, a dir poco, ridimensionata, lasciando più spazi agli Stati e alla loro sovranità per far valere le ragioni dei rispettivi popoli. Sarei uno sciocco se ignorassi le ragioni che hanno portato tanti europei a sintonizzarsi su queste accuse nei confronti dell’Europa e quindi sui movimenti politici che su di esse hanno fatto leva per allargare i loro consensi, sino a lanciare l’Europa di Visegrad alla conquista del West, acquistando forza in tutti i Paesi dell’Unione, compresi quelli tradizionalmente europeisti, come la Germania, l’Italia, l’Olanda, la Svezia, e creando così l’aspettativa che dalle prossime elezioni del Parlamento europeo esca una maggioranza antieuropea.

Per spiegare la vicenda si fanno valere diverse ragioni, e due sopra tutte. La prima riguarda le politiche di austerità e l’overdose dei loro effetti restrittivi, che hanno colpito non solo i debiti pubblici, ma la vita stessa delle economie, tarpandone la crescita e quindi la capacità di fornire risorse per pagare quei debiti. Non solo, ma portando anche la protezione sociale, specie in Grecia, a livelli talmente bassi da risultare intollerabili, specie in un’Europa tanto orgogliosa del suo Welfare. La seconda ragione riguarda l’immigrazione. Davanti ad essa Grecia, Italia e Spagna sono state lasciate sole nella gestione di flussi che arrivano sì alle loro frontiere, ma si tratta di frontiere europee, che chiamano in causa responsabilità europee.

Tutto vero, tutto condivisibile. Ma le due questioni ci prospettano quello che è un ineludibile paradosso dell’antieuropeismo. C’è ostilità verso l’Europa, questa ostilità porta con sé, di rimbalzo, una maggiore fiducia nello Stato e nella chiusura entro i suoi confini, ma la vicenda dell’immigrazione dimostra nel modo più trasparente che quel che si lamenta non è ciò che l’Europa fa, ma ciò che l’Europa non fa. E lo stesso vale, forse in modo meno trasparente, anche per le politiche economiche e fiscali, dove la soluzione non è la maggiore «flessibilità» chiesta in questi anni dai nostri governi, che porta comunque ad aumentare il debito che si dovrebbe invece ridurre, ma una ben finanziata funzione di stabilizzazione al livello europeo, che intervenga, con misure anticicliche, a compensare gli effetti ciclici del risanamento finanziario nazionale.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/18, pp. 821-830, è acquistabile qui]