Le tante celebrazioni dell'Unità trascurano spesso le difficoltà che ancora oggi l'italiano ha ad essere riconosciuto come idioma nazionale. La storia d'Italia è, per molti versi, anche la storia di un Paese disunito, almeno per quanto riguarda la lingua. Pieno zeppo di stereotipi negativi, l'uso quotidiano della nostra lingua, da Nord a Sud, ci dice molto di un'Italia in cui il ricorso al dialetto, alla sue derivazioni e alle storpiature è ancora molto forte. Dai "terroni" ai "baluba", emerge l'immagine pittoresca e al tempo stesso fragile di una "Italietta" che fatica ancora a riconoscersi negli italiani "altri".
La recente "Storia linguistica dell'Italia disunita" scritta da Pietro Trifone è un ritratto ironico e leggero della grammatica e del vocabolario della disunione italiana, a cominciare proprio dalle aggressive formule usate da italiani contro altri italiani. Che non risparmiano neppure il nome del Paese, apertamente deriso attraverso parole come, appunto, "Italietta", "italioti", "italico", "italiesco" o espressioni come "Italia alle vongole" e "all'italiana". Di questi e di tanti altri stereotipi negativi (da "terrone" a "polentone", da "sudici" a "lumbard", da "beduino" nel senso di "meridionale" a "baluba" nel senso di "settentrionale") si dà conto nel libro di Trifone ( professore di Storia della lingua italiana nell'Università di Roma Due "Tor Vergata" che con il Mulino aveva già pubblicato il fortunato "Malalingua. L'italiano scorretto da Dante a oggi").
Oltre a ricostruire una storia divertente e istruttiva, l'autore discute anche della faziosità attribuita a Dante; confronta i problemi linguistici della giovane Italia unita del 1861 con quelli di oggi, spiegando perché gli italiani non capiscono le parole dell'inno nazionale; descrive Roma come capitale "alla matriciana", anzi come "capoccia"; tratteggia le diverse immagini del Paese che emergono dai neologismi di origine dialettale.
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