Cara Presidente (cara Ursula, se posso),

chi Le scrive è un professore di storia del diritto, ormai emerito, che per oltre quarant’anni ha posto al centro delle sue ricerche l’idea che la storia d’Europa, dal Medioevo all’età moderna e contemporanea, sia stata e sia tuttora la storia di una civiltà comune nella religione, nella politica, nell’arte, nella musica e anche nel diritto, pur nelle tante varietà locali e temporali che ne costituiscono il fascino ineguagliabile.

Nasce da questa convinzione anche questo mio ultimo libro, che tiene insieme idee che ho maturato nel corso di molti anni e che ho terminato proprio nei giorni in cui il Parlamento europeo la rieleggeva Presidente della Commissione. E nasce da qui la scelta di concludere il ragionamento fatto in queste pagine indirizzando proprio a Lei, che è ormai alla guida del governo dell’Unione, una lettera aperta.

Come Lei ben sa, è molto diffusa la percezione che oggi l’Unione europea sia giunta a un passaggio cruciale, dal quale dipenderà il suo futuro sviluppo o invece la dissoluzione del disegno ideale e politico che l’ha vista nascere e crescere da un settantennio.

La tesi che sorregge le argomentazioni del mio libro è semplice: l’Unione europea può costituire un elemento vitale entro un ordine multilaterale del pianeta, un ordine senza il quale le crisi globali che ne minacciano il futuro non potranno venire superate: né le guerre, né il cambiamento climatico, né la decrescita della biodiversità, né le pandemie, né i rischi della comunicazione tendenziosa tramite i social network, né l’aumento delle diseguaglianze tra Stati ed entro gli Stati. Ma un tale ruolo l’Europa potrà sperare di svolgerlo, nell’interesse dei propri cittadini e non solo di loro bensì di tutti, se (e solo se) il processo d’unione verrà proseguito e completato.

Il favore dei cittadini verso un’Unione più efficace, confermato negli anni da tutti i sondaggi e oggi anche dal recente voto per il neoeletto Parlamento europeo, dimostra che la maggioranza degli elettori di ciascuno degli Stati membri chiede più Europa. Per quale ragione allora il cammino dell’Unione è così difficile e contrastato? È soprattutto compito di noi europeisti farci questa domanda.

A mio giudizio le risposte possibili sono legate al tema della crisi delle democrazie, di cui mi limito a segnalare tre nodi cruciali, presenti in ognuno dei paesi dell’Unione: il diffuso assenteismo elettorale basato su una sfiducia di fondo nella politica dei nostri Stati; la miope visione delle classi politiche nazionali, troppo spesso ancorate a calcoli di breve termine e incapaci di guardare alto e lontano; infine, il pericoloso stravolgimento, per motivi di interesse politico ed economico, delle informazioni telematiche sulle quali necessariamente si fondano le scelte dell’elettore.

Sappiamo che l’astensionismo e la deviazione informativa si possono combattere solo con l’educazione civile. Ma nel mondo globale l’etica della solidarietà e della responsabilità – che al pari dell’amore per la libertà, per la democrazia e per la giustizia sociale vanno rinnovate e trasmesse a ogni generazione – non hanno bisogno solo di scuola e di esempio, ma altrettanto di una progettualità politica di consone dimensioni operative, nutrita di alte ambizioni ideali. Debbono essere messe alla prova e dimostrarsi efficaci dinanzi alle sfide del futuro; hanno bisogno di un’Europa politica che porti alla piena maturità il grande progetto dell’Unione.

Mi sia consentito a tal proposito, cara Presidente, formulare alcuni rilievi che La riguardano direttamente. Lei ha dimostrato di possedere almeno tre caratteristiche che spiegano e giustificano il consenso nei Suoi confronti da parte di ciascuno dei partiti pro-europei usciti vincitori nelle elezioni di giugno. In primo luogo, è riuscita a unire sia i partiti che i governi europei. Già nel corso del Suo primo mandato Lei ha compreso che gli apporti di più partiti pro-europei su politiche di sviluppo dell’Unione in settori quali la sicurezza, la difesa, lo sviluppo, l’equità, le migrazioni e la crescita sono necessari; e che essi sono da conseguire con il sostegno del Parlamento europeo che ci rappresenta come cittadini europei e con il consenso intergovernativo tra gli Stati dell’Unione. In secondo luogo, Lei ha colto l’occasione storica fornita dalla pandemia sollecitando con successo nel 2020 un’impostazione di largo respiro e davvero innovativa che guardasse più in là del contingente e che puntasse al futuro delle giovani generazioni (il Next Generation Europe), con l’impiego di risorse per investimenti che solo l’Unione era ed è in grado di riunire. Infine, Lei è riuscita a far sì che l’opinione pubblica dei 27 paesi riconoscesse finalmente, per la prima volta, un’immagine che rappresenti l’Europa; ben più del numero di telefono del quale Kissinger deplorava l’inesistenza, il Suo viso sorridente e le Sue parole di fiducia nell’Unione rappresentano ormai per i cittadini europei il volto stesso dell’Europa; anche questo nell’età dell’immagine è stato e continuerà a essere fondamentale.

Non meno rilevanti sono diversi aspetti del programma politico sulla cui base Lei è stata appena eletta Presidente della Commissione. Si tratta di un programma vasto e articolato, che non sarà certo facile realizzare. Occorrerà il concorso di molti fattori, dei quali mi permetto di richiamarne alcuni. Sul piano delle procedure di governo, occorre portare avanti la necessaria revisione dei limiti e dei profili negativi dei Trattati, a cominciare dall’abolizione del potere di veto e dal connesso riconoscimento della codecisione del Parlamento europeo, da mettere a punto quanto prima nella prospettiva dell’allargamento, come proposto dal recente documento franco-tedesco; la Conferenza sul futuro dell’Europa lo ha chiaramente rivendicato e il Parlamento europeo lo ha ribadito nel suo Progetto, che necessita dell’avvio di una Convenzione, una richiesta purtroppo sinora rimasta senza risposta da parte dei governi nazionali.

E tuttavia molto, davvero molto, potrà essere intrapreso già nel quadro dei Trattati in vigore, dunque immediatamente, come le iniziative illuminate del 2020 hanno dimostrato. La condizione di base del successo è sempre la stessa: a trattare deve essere l’Unione, non i singoli governi, anche se con il loro assenso, naturalmente; un assenso che richiede – e Lei lo sa bene per esperienza diretta – diplomazia, flessibilità, ma anche l’atteggiamento costruttivo, la capacità di individuare soluzioni condivise e l’instancabile tenacia dimostrata dai padri dell’Europa in passato.

Questo ruolo di primo piano del governo europeo deve però tenere conto del fatto che oggi in ognuno dei paesi europei la politica è in crisi, la stessa democrazia è in crisi, anche se per ragioni diverse; persino la Germania sperimenta serie difficoltà, sia sul fronte della stabilità del suo bilancio, sia sul fronte delle tensioni interne tra le due parti del paese, il che è davvero preoccupante.

Da questo punto di vista mi pare grandemente significativo il fatto che alla guida di una Commissione con questo vasto e lungimirante programma di governo sia una cittadina tedesca che ha vissuto sin dall’infanzia nel contesto europeo. La Germania ha avuto il grande merito di accettare la transizione dal marco all’euro, un traguardo che l’opinione pubblica tedesca fortemente avversava negli anni Novanta e che invece la determinazione politica, ma in primo luogo ideale, di un grande statista come Helmut Kohl è riuscita a conseguire, rivelandosi poi come un assetto vantaggioso anzitutto e proprio per la stessa Germania.

Aver lasciato aperta la prospettiva di procedere agli investimenti europei non solo con una cospicua revisione delle risorse proprie, ma anche con bond tanto in forma di prestiti che a fondo perduto è da parte Sua un punto programmatico che ritengo di grandissimo significato. Ciò non dovrebbe in alcun modo impedire il mantenimento dell’equilibrio, se possibile ancora in pareggio, del bilancio dell’Unione, un obiettivo anch’esso molto importante. La pubblicazione del Rapporto Draghi, che Lei meritoriamente ha incaricato di redigere, ha ribadito questi obiettivi. Senza un congruo, elevato flusso di risorse al livello europeo – risorse che oggi nessuno Stato membro può permettersi di mettere in campo, neppure la Germania – ritengo che il Suo programma di governo non potrà venire realizzato. Hic Rhodus, hic salta.

Cara Presidente, nella storia dell’Europa sono le crisi a costituire le matrici, le levatrici delle svolte. E sono le leadership a coglierne e promuoverne le potenzialità. E infine, è la spinta dal basso (ma bisognerebbe dire dall’alto, perché sovrano è l’individuo, nella moderna concezione della politica) a fornire alle leadership il necessario supporto di consenso, che da solo purtroppo non basta; basti pensare a quanto profondo sarebbe il consenso popolare per la pace entro la cornice delle Nazioni Unite e contro le guerre di aggressione se il quesito venisse posto con referendum all’opinione pubblica di ogni parte del pianeta. Di questi tre elementi, la Sua leadership entro l’Unione ne rappresenta efficacemente uno, assolutamente necessario.

Dunque buon lavoro. Nei prossimi anni tante donne e tanti uomini di ogni età Le saranno vicini con simpatia e convinta adesione. Se nel concludere un libro che ho voluto intitolare Destini incrociati ho sentito l’urgenza di rivolgermi direttamente a Lei, ciò deriva anche dalla consapevolezza, in me ormai molto acuta, delle grandi responsabilità che il presente ci riserva nella nostra veste di europei e di cittadini del mondo.