Per molto tempo i corpi delle persone disabili sono stati visibili in pubblico quasi esclusivamente nelle vesti di mendicanti, come nel celebre dipinto Storpi (1568) di Pieter Bruegel il Vecchio. O quali fenomeni da baraccone, come avveniva nei cosiddetti freak shows, un genere di spettacolo diffuso soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti in cui erano mostrati sul palcoscenico animali o esseri umani dall’aspetto inconsueto per attirare la curiosità e suscitare la meraviglia degli spettatori: gemelli siamesi, donne barbute, persone nate senza braccia o senza gambe o con una statura al di fuori del comune, perché molto basse o straordinariamente alte. La collocazione di questi individui ai margini della società o nella posizione di esseri anormali e mostruosi su cui era lecito fissare insistentemente lo sguardo e di fronte ai quali era possibile esprimere ad alta voce, e senza provare alcuna vergogna, commenti di meraviglia, stupore, disgusto e paura, quasi si fosse in presenza di meri oggetti, forniva al resto della società una sorta di rassicurante illusione relativamente alla propria normalità e umanità (R. Garland-Thomson, Extraordinary Bodies: Figuring Physical Disability in American Culture and Literature, Columbia University Press, 1997).
La spettacolarizzazione della persona con disabilità, la sua riduzione a fenomeno da mostrare allo sguardo curioso e morboso dello spettatore, incarna nel modo più compiuto la contrapposizione tra «noi» e «loro», tra chi ha diritto al riconoscimento della piena dignità di essere umano e chi da quell’umanità viene escluso a causa della sua «a-normalità», del suo essere al di fuori della «norma». Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, con l’affermazione dell’eugenetica (termine coniato da Francis Galton nel 1883), molti Stati occidentali (al di qua e al di là dell’Atlantico) arrivarono ad adottare politiche di sterilizzazione e istituzionalizzazione delle persone disabili, trascinati dalla prospettiva di un’umanità liberata da ogni forma di disabilità, considerata come pericolo, indebolimento e degenerazione della specie.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 4/17, pp. 580-587, è acquistabile qui]
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