La sentenza della Corte costituzionale 3 dicembre 2015, n. 247 non riesce a mettere la parola fine alle accese contestazioni che hanno accompagnato l’adozione del Regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, delibera n. 680/13/cons, entrato in vigore nel marzo 2014), che intende contrastare la pirateria online e quindi la violazione del diritto d’autore conseguente alla diffusione in Internet di ogni tipo di opera (a carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore).
Uno degli aspetti più contestati del Regolamento, fin dalla sua approvazione, è la possibilità per l’Agcom di far applicare il diritto d’autore con interventi che contemplano l’ordine di rimozione delle singole informazioni o delle pagine web interessate, in caso di violazioni di minore entità. Tali poteri si possono anche spingere fino all’oscuramento dei siti web ritenuti responsabili della violazione. Si consideri inoltre che il procedimento di contestazione delle eventuali violazioni e il conseguente intervento hanno tempi davvero molto serrati, e vengono quindi anch’essi contestati in quanto non garantirebbero i diritti di partecipazione e di pieno contraddittorio.
A monte, parte consistente della dottrina aveva posto da subito dubbi sulla stessa competenza dell’Agcom ad adottare un siffatto Regolamento e ad arrogarsi dei poteri alternativi a quelli ordinariamente riconosciuti ai giudici (tra cui l’oscuramento di un sito web), visto che nessuna legge glieli riconosceva esplicitamente.
Tali valutazioni sono in sostanza quelle sottoposte al giudizio del Tar Lazio che ha ritenuto di rinviare alla Corte costituzionale la questione. Il giudizio di costituzionalità non ha ad oggetto il Regolamento in sé, visto che la Corte può giudicare solo sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge e non, nel caso, su un Regolamento di una Autorità indipendente ma l’eventuale declaratoria di incostituzionalità avrebbe comunque avuto una ricaduta sul Regolamento Agcom, che sarebbe risultato annullato di conseguenza.
La Corte costituzionale si ferma prima, sugli aspetti preliminari e, per così dire, formali delle ordinanze di rimessione. Pur non decidendo nel merito, afferma però qualcosa di significativo, e cioè che «è evidente che nessuna delle disposizioni impugnate, in sé considerata, dispone specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del regolamento impugnato». La Corte costituzionale quindi, anche se non esplicitamente, contesta la ricostruzione del Tar che sembrava sostenere ritenere fondata la competenza Agcom ad adottare il Regolamento, ma si pronuncia per l’inammissibilità della questione sulla base di valutazioni che riguardano solo gli aspetti formali delle ordinanze.
Il pallino ritorna ora nelle mani del Tar che dovrà riprendere il giudizio da cui era scaturita la questione di costituzionalità e valutare la legittimità del Regolamento nei termini contestati, ma avendo ricevuto dalla Corte, se non una vera e propria indicazione, comunque una consistente ipoteca sulle argomentazioni a sostegno della fondatezza del quadro che lo stesso Tar aveva sostenuto.
La questione resta quindi aperta, ma i numerosi commenti e le iniziative conseguenti alla sentenza della Corte auspicano tutti, a prescindere dalle interpretazioni, che intervenga finalmente il Parlamento, sede naturale di composizione degli interessi in gioco, che dovrà valutare anche gli aspetti di compatibilità con i principi e con il quadro legislativo dell’Unione europea.
L’equilibrio tra diritto d’autore e, in senso generale, gli interessi di editori e dell’industria dei contenuti e la libertà, certo non totale, in internet è una questione troppo seria per essere lasciata in balìa di soluzioni così dubbie.
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