«Riesci a spiegarmi perché, a oltre tre anni dal terremoto, il centro storico dell’Aquila ancora giace abbandonato a se stesso? Con la sua popolazione ghettizzata nelle new towns?».
«Credo che l’operazione abbia tutte le caratteristiche di un laboratorio, dove l’obiettivo è mettere a punto il modo per accelerare la cancellazione dalle nostre città delle sempre più senescenti popolazioni che ancora conservano il sentimento d’appartenenza ai luoghi in cui sono nati. Il sentimento che si è molto (e criminalmente) lavorato per togliere ai giovani, stringendoli tra una scuola sempre più deprivata di qualsiasi principio di qualità e meritocrazia e la televisione spazzatura di “tronisti” e “grandi fratelli”. E il sentimento che non hanno in partenza le popolazioni extracomunitarie».
«Cancellazione della sempre più senescente popolazione stanziale che serve a…?».
«A togliere di mezzo un grosso problema rispetto a quella “politicizzazione della nuda vita come tale che costituisce l’evento decisivo della modernità”, di cui ci ha recentemente parlato Giorgio Agamben chiamando in causa il saggio su La condizione umana di Hannah Arendt e la “biopolitica” di Michel Foucault».
«Non ti pare d’aver preso la cosa troppo da lontano?».
«Direi di no. Anzi, manca un altro tassello a questo ragionamento. Quel che ci ha detto Alexandre Kojève sulla “fine della Storia” in una sua celebre nota alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel. La fine della Storia che, sempre seguendo Kojève, ha generato l’avvento nel mondo dell’uomo post storico. Cioè d’un uomo affrancato dall’Azione morale ed etica che gli imponeva una Storia ancora in divenire, quindi tornato all’originaria irresponsabilità di corpo animale, dotato di “anima” nel senso originario, premorale, di “respiro”. L’uomo post storico comunque provvisto di neocorteccia, che vive nella felicità, nell’abbondanza e nella piena sicurezza (animale) dell’American way of life».
«Scusami, ma non capisco quale sia la relazione con l’abbandono a se stesso del centro storico dell’Aquila».
«La relazione si trova nell’inedito problema che tutto ciò ha creato, prima ancora che all’economia, alla politica. Dover assicurare, appunto la politica, all’uomo post storico la sopravvivenza (animale) della sua “nuda vita come tale”. Un compito che ha come fine la pace sociale e che perciò riguarda tutta la politica, destra, sinistra e centro. Quel che spiega l’odierno sfumare, fino all’azzeramento, di quelle già “classiche” categorie ideologiche»
«Una garanzia di sopravvivenza che consiste in…?».
«Nel dover dare all’uomo post storico la certezza di poter avere accesso per tutta la vita a una fonte di danaro. Fonte che coincide con quello che un tempo si chiamava il lavoro, oggi invece divenuto un operare in non importa quale settore dell’economia, a che titolo e a quale livello. Un compito non semplice, dover generare un lavoro per tutti, comunque e ovunque, cioè un lavoro autoreferenziale, la cui prima e principale esigenza è l’assenza di vincoli esterni. E vincoli esterni sono la salvaguardia dell’ambiente come la custodia della memoria dei luoghi storici o il seguire principi religiosi, etici o morali».
«Da qui la lenta, ma inesorabile, cancellazione sotto gli occhi di tutti di quei vincoli e il sempre maggior potere assunto da chi sia in grado di offrire all’uomo post storico un qualsiasi McJob, dirigente o subalterno che sia».
«Ma anche da qui l’assumere un senso, terribile fin che si vuole, ma comunque un senso, l’altrimenti incomprensibile proseguire imperterrito, per fare solo due esempi tra loro di diverso carattere e peso, della suicida distruzione della foresta amazzonica, come della criminale cancellazione del paesaggio storico italiano, cui s’accompagna l’abbandono a se stessi dei centri storici delle città, eccezion fatta per alcune loro isole».
«Una tendenza generale, l’abbandono dei centri storici, la cui prova è che intere loro zone sono oggi entrate in mano agli extracomunitari».
«Infatti. E ciò avviene perché, se per restaurare un centro storico occorrono decenni, un numero ridotto di maestranze formate ad hoc e "tot" miliardi di euro, per costruire un lotto di edifici nuovi per lo stesso importo, occorrono forse nemmeno un anno e un cospicuo numero di maestranze qualsiasi. Ed è la lezione che viene dall’Aquila».
«È però vero che i cittadini dell’Aquila stanno contestando sempre più duramente il loro esilio nelle new towns».
«Sì. Ma ciò accade in una regione italiana ancora, per così dire, antica: l’Abruzzo aspro, montagnoso e bellissimo, arcaica sacca culturale ed economica popolata da cittadini per lo più anziani e choosy nei confronti della modernità post storica. Mentre in luoghi anch’essi soggetti a un recente terremoto, come Modena e Ferrara, dove però da decenni è stabile la presenza di una economia e di una politica post storiche le cose vanno diversamente».
«Come?».
«Vanno nel segno d’una speciale joint venture stretta tra economia e politica per rimuovere i vincoli che disturbino la necessità d’assicurare un lavoro a tutti, comunque e ovunque. Ad esempio i vincoli dei principi antisismici da applicare alla costruzione dei nuovi capannoni industriali, infatti in gran numero crollati uccidendo alcuni uomini post storici, divenuti in tal modo martiri ed eroi del lavoro autoreferenziale. Ma anche i vincoli inerenti la salvaguardia della memoria storica dei luoghi. In questo senso, più ancora che esemplare, mi sembra simbolico quanto accaduto a Sant’Agostino, vicino a Ferrara, dove la politica ha fatto abbattere addirittura la propria sede storica, il Municipio, con il plauso dell’intera popolazione. E ciò senza che l’edificio avesse subito irrimediabili danni strutturali. Ma solo per poter costruire un nuovo Municipio la cui qualità architettonica è fin d’ora facile immaginare, ma comunque funzionale alle esigenze della “politicizzazione della nuda vita come tale”, cioè a poter garantire un “lavoro” all’uomo post storico».
«Insomma, per dover dare comunque e ovunque un “lavoro” a tutti stiamo distruggendo il mondo, la sua storia come il suo ambiente, avviandoci verso una catastrofe».
«Credo proprio di sì. A meno che la politica non abbia una resipiscenza e torni a rimettere in circolazione concetti come la centralità degli Stati nella scelta delle politiche economiche per il tramite di istituti tecnici e organizzativi come la “programmazione”. Cioè quei concetti oggi considerati inutili ferrivecchi dall’ideologia del libero mercato».
Riproduzione riservata