Obama e il rapporto tra polizia e comunità nere. «Con l’elezione di Obama, cadono le barriere razziali», titolava il «New York Times» il giorno dopo l’elezione del presidente afro-americano. Un titolo forse un po’ ottimista, ma davvero in pochi avrebbero immaginato che dopo otto anni dalla sua elezione Obama si sarebbe trovato in uno dei momenti più delicati della sua presidenza, proprio riguardo alla questione razziale. Nel discorso pronunciato in occasione dei funerali dei cinque poliziotti uccisi a Dallas da un reduce afro-americano durante una manifestazione pacifica di Black Lives Matter, il presidente ha cercato di unire due poli, quello delle comunità nere e quello delle forze di polizia, storicamente in antitesi, in un periodo particolarmente delicato in cui i video delle uccisioni degli afroamericani Alton Starling e Philando Castile per mano di due agenti hanno mostrato una volta di più l’urgenza di affrontare la questione razziale. E Obama lo ha fatto proprio ripartendo da uno dei punti di unione, dai poliziotti che durante la sparatoria di Dallas hanno protetto e messo in salvo molti manifestanti. Lo ha fatto nel tentativo di trovare improbabili convergenze in un rapporto complesso, i cui sviluppi sono da cercare nella storia del razzismo istituzionale statunitense. Non è un caso, infatti, che le Pantere nere siano nate, esattamente cinquanta anni fa, con l’obiettivo di controllare le forze di polizia di Oakland, in California, ed evitare che gli agenti perpetrassero violenze sui neri.
È un rapporto, quello tra le forze dell’ordine e le comunità nere, al centro delle proteste di Black Lives Matter, un movimento che in questi giorni sta organizzando manifestazioni in moltissime città degli Stati uniti e non solo. E proprio in questi giorni i suoi detrattori, tra cui l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, hanno associato Black Lives Matter a Micah Johnson, l’omicida di Dallas, perché spinto da evidenti motivazioni di odio razziale che il movimento starebbe alimentando. Un’associazione improbabile che non tiene conto né della disapprovazione di Johnson nei confronti di Black Lives Matter né della natura stessa del movimento, nonviolenta e multirazziale.
Per comprendere il rapporto tra minoranze e forze di polizia occorre invece partire dal fatto che il pregiudizio razziale, una questione culturale e strutturale largamente diffusa nei dipartimenti di polizia, è filtrato nelle lenti di interpretazione delle comunità di colore e ha permesso l’accettazione dell’assioma minoranza razziale=criminalità, che ha danneggiato enormemente le aree povere delle grandi città. Le recenti uccisioni di Alton Starling e Philando Castile ci hanno poi mostrato quanto sia evidente la mancanza di addestramento degli agenti, che in entrambi i casi hanno fatto precipitare situazioni nonviolente trasformandole in uccisioni a sangue freddo, evidenziando un dilettantismo che diventa socialmente pericoloso quando si tratta di far rispettare la legge in uno dei paesi più «armati» del mondo. A questo è da associare la rarità delle incriminazioni dei poliziotti, una questione che la diffusione dei numerosi video online ha solo parzialmente modificato, e che contribuisce ad alimentare il clima di tensione. Infine, per quanto la sparatoria di Dallas abbia scioccato la nazione, gli ultimi due anni di presidenza Obama sono stati i più sicuri per gli agenti - relativamente al numero di morti in servizio - da almeno tre decenni. Un fatto non trascurabile, che ci mostra come il lavoro delle forze di polizia, per quanto delicato, non stia vivendo un periodo di particolare crisi che giustifichi una eccessiva vittimizzazione dei poliziotti (visione proposta soprattutto dai fanatici del «law and order» che hanno trovato in Donald Trump un potente interlocutore).
Con la presidenza Obama che volge al termine, il discorso di Dallas può essere letto come un tardivo tentativo del presidente di risanare una spaccatura profonda che però potrà essere rimarginata soltanto con coraggiose riforme strutturali del sistema di giustizia. Un’eredità pesante e non certo invidiabile che Obama passerà nelle mani del suo successore.
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