Uno sguardo sul Maghreb. All’indomani delle Primavere arabe, il quadro regionale del Nord Africa, in particolare l’area del Maghreb, ha subito importanti trasformazioni. In Tunisia, Algeria e Marocco si sono registrati cambiamenti rilevanti dal punto di vista sociale, politico ed economico.
Nel febbraio 2011, in Marocco aveva preso forma un movimento popolare prevalentemente giovanile, «Movimento 20 febbraio», il quale rivendicava riforme costituzionali che limitassero parzialmente il potere del re, maggiore libertà di espressione e la liberazione dei prigionieri politici. Richieste che Muhammad VI ha in parte esaudito promuovendo una revisione della Costituzione approvata con il 98,5% dei consensi il 1° luglio 2011 in un referendum consultivo. Tra le novità introdotte nella Carta ricordiamo il riconoscimento legale dell’uguaglianza di genere, della lingua berbera Tamazigh come seconda lingua ufficiale dopo l’arabo e un importante cambiamento relativo alla figura del re, non più definito «sacro» ma «inviolabile e degno di rispetto». La prontezza della monarchia nelle riforme, per quanto invero limitate, ha consentito al Marocco di evitare una lacerazione tra i manifestanti e il potere come quella che si è registrata in altri contesti.
Oggi il Marocco sta vivendo un momento di stallo politico a causa della difficoltà di formare un governo da parte di Abdelilah Benkirane del Pjd, cui è stato conferito l’incarico di primo ministro dopo le elezioni di ottobre 2016. Dal punto di vista economico la situazione appare invece più dinamica. Muhammad VI volge il proprio sguardo a Sud, al progetto ambizioso del prolungamento del gasdotto lungo 5.000 km, il «West african gas pipeline», che dal 2010 collega la Nigeria passando per Benin e Togo. Il progetto avrebbe una ricaduta economica considerevole in quanto unirebbe la Nigeria, terzo produttore di gas naturale in Africa, al Marocco e quindi all’Europa. In questo quadro può essere letto anche il rientro del Paese nell’Unione africana, dopo 33 anni di assenza, deciso durante l’ultimo summit dell’organizzazione panafricana svoltosi ad Addis Abeba il 30 e 31 gennaio 2017. Ricordiamo che il Marocco era uscito nel 1984 a seguito dell’ammissione della Repubblica democratica araba dei Sahrawi, lo Stato autoproclamato che rivendica la sovranità sul Sahara occidentale. La decisione di far rientrare il Marocco nell’Ua sta tuttavia alimentando una tensione tra Brahim Ghali, succeduto lo scorso luglio a Mohamed Abdelaziz a segretario del Fronte polisario, e le istituzioni marocchine. In una recente intervista Ghali ha dichiarato che, pur perseguendo la via pacifica, «tutte le opzioni restano aperte». Si profila dunque uno scenario alquanto complesso.
Anche l’Algeria, nonostante non sia stata in prima fila nelle primavere arabe, ha vissuto nei primi mesi del 2011 proteste causate dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari e dall’incremento della disoccupazione. Sebbene il governo di Bouteflika abbia dimostrato una maggiore apertura politica rispetto ai Paesi che hanno vissuto le rivolte (esistono anche in Algeria voci di dissenso), resta il fatto che il Paese non ha subito fino adesso gli sconvolgimenti radicali che hanno caratterizzato alcuni stati vicini come la Tunisia, la Libia o l’Egitto. Probabilmente le cause sono da ricercarsi in primo luogo nella specifica esperienza storica del popolo algerino. L’Algeria ha raggiunto la propria indipendenza attraverso un conflitto molto sanguinoso e ha vissuto poi negli anni novanta una guerra civile devastante, che ha provocato ferite non ancora rimarginate. Ciò ha probabilmente inibito le spinte ad una contrapposizione radicale. Nel contesto attuale soffre di una progressiva involuzione da un punto di vista socio-economico caratterizzata da un tasso crescente di disoccupazione giovanile e dalla precarizzazione del lavoro. La crisi economica mondiale pone inoltre un serio allarme all’economia del paese basata sull’esportazione di idrocarburi, i cui proventi rappresentano il 97% del totale delle esportazioni algerine. Gli analisti prevedono un calo considerevole della domanda di petrolio e di gas, di cui l’Algeria è il terzo fornitore all’Europa dopo Russia e Norvegia. La profonda crisi determinata dalla caduta del prezzo del petrolio che ha interessato le sue entrate in valuta estera ha prodotto un’importante situazione di conflittualità nel Paese. A seguito della crisi, il governo ha adottato una politica di austerità alzando i prezzi di alcuni prodotti di prima necessità e le difficoltà economiche stanno generando un marasma sociale che vede il sorgere di scontri come quello avvenuto lo scorso 12 gennaio a Bejaia, una cittadina a nord del paese, tra forze dell’ordine e gruppi di giovani. In questo quadro le prossime elezioni legislative, che si terranno il 4 maggio, si svolgeranno in un contesto politico ed economico particolarmente teso. Il partito di governo Fln, che alle scorse elezioni del 2012 aveva ottenuto 220 seggi su 479 e il Rnd (Rassemblement nationale democratique) con i suoi 68 seggi sembrerebbero, tuttavia, non temere Ali Benflis, già candidatosi alla presidenza nel 2014, il quale ha deciso di boicottare le elezioni non partecipandovi con il suo partito: Talahie el Houriat. Egli, infatti, sostiene che le autorità non sono in grado di garantire la «credibilità» del voto. In questo quadro, tuttavia, le forze che si rifanno all’Islam politico hanno annunciato l’intenzione di costruire delle alleanze al fine di presentare un fronte comune per le elezioni. A dicembre 2016 alcuni partiti, come El binaa, Le Front pour la justiceet le developpement, erano decisi a stabilire un’alleanza strategica in vista delle legislative come prima tappa per una fusione vera e propria. Ciò che tuttavia rappresenta il vero quesito sarà il tasso di partecipazione alle elezioni che, nel 2012, è stato solo del 42,63%.
Nel frattempo in Tunisia, Paese pioniere delle primavere, la situazione appare relativamente stabile, nonostante le preoccupazioni legate alla situazione economica. In seguito alle tensioni nel quadro regionale e agli attentati terroristici avvenuti al Museo del Bardo e nella spiaggia di Port El kantaoui, il comparto del turismo che sino ad oggi era in grado di garantire 400.000 posti assorbendo il 15% della forza lavoro ha registrato nel 2016 un calo pari al 50% rispetto agli anni precedenti. Com’è noto, in un paese come la Tunisia, che vive un processo delicato di nation building, il rilancio dell’economia è prioritario nell’agenda di governo.
Desta preoccupazione anche il numero considerevole di giovani tunisini che sono confluiti nelle fila di Daesh, arruolati attraverso la rete costituita da social network,le moschee, alcune associazioni culturali o le carceri.
La pesante situazione nel mercato del lavoro e la disoccupazione hanno indubbiamente creato frustrazione e malcontento nella fascia giovanile della popolazione tunisina assottigliando la speranza di reale cambiamento tanto anelata all’indomani della rivolta che aveva cacciato il dittatore. Così la sfiducia ha aperto la strada alla disperazione in cui è stato agevole muoversi per i reclutatori del terrore. Nel frattempo, molti di questi giovani che erano partiti alla volta della Siria stanno rientrando e nel dicembre del 2016 il Presidente tunisino Essebsi, pur affermando che il diritto al rientro è un diritto costituzionale, ha tuttavia dichiarato che la Tunisia «prenderà tutte le disposizioni necessarie affinché i jihadisti che rientrano da Siria, Libia e Iraq siano neutralizzati attraverso l’applicazione della legge anti terrorismo».
Ed è proprio sul versante della sicurezza e della lotta al terrorismo che nei giorni scorsi Donald Trump si è confrontato telefonicamente con Essebsi. Secondo un comunicato della Casa Bianca del 17 febbraio, «i due presidenti hanno discusso sulla transizione democratica della Tunisia e della loro cooperazione in materia di lotta contro il terrorismo». La Tunisia è il primo Paese della regione a essere contattato dal nuovo presidente americano, le cui misure sull’immigrazione contenute nel controverso provvedimento «muslimban» stanno facendo discutere.
Nel frattempo il presidente tunisino confida nel supporto dell’Europa e dei suoi paesi membri in termini d’investimento economico e culturale. In questo quadro s’inserisce il viaggio che ha compiuto in Italia l’8 e il 9 febbraio scorso durante il quale ha incontrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Frutto di una convergenza di vedute tra i due paesi è stata la firma d’importanti accordi in campi quali la sicurezza, la cooperazione, gli scambi culturali, l’energia e l’ambiente, finalizzati a promuovere la collaborazione tra Italia e Tunisia.
[Questo articolo è stato pubblicato su mentepolitica.it]
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