È difficile sopravvalutare l’importanza dell’Enciclica “Laudato si’”. Non perché essa arrechi nuove conoscenze sul tema del riscaldamento climatico, sulle sue cause e sulla minaccia che i dissesti ambientali arrecano al benessere e alla stessa sopravvivenza della nostra e di altre specie.Né pretende di farlo: i confini tra scienza e prescrizioni etico-religiose sono tracciati con chiarezza. Ma perché traduce nel linguaggio della più grande religione cristiana le preoccupazioni che gli stessi scienziati hanno tratto dalle loro ricerche. E perché le connette e le giustifica con una visione d’insieme di che cosa non funziona, per la Chiesa, nelle nostre società: il fondamentalismo di mercato, l’individualismo estremo, il consumismo e il materialismo dominanti, l’indifferenza verso i poveri e verso le condizioni in cui si verranno a trovare i nostri figli e nipoti. L’antico antimodernismo della Chiesa cattolica ancora riecheggia nell’Enciclica, seppure in forme più moderate che in passato e consapevoli dei valori che la modernità ha consentito di affermare: la critica è rivolta agli eccessi più che alla natura di una società capitalistica e liberale. E un non credente di orientamento liberale, ma consapevole dei rischi che il nostro ecosistema sta correndo, deve riconoscere che la Chiesa di Francesco gli sta fornendo un grande aiuto. La Chiesa cattolica è una potenza ideologica mondiale e se i cattolici, anche in piccola parte, presteranno ascolto alle indicazioni e alle prescrizioni dell’Enciclica, il fronte di coloro che intendono affrontare seriamente il problema del riscaldamento climatico sarà molto rafforzato.
Credente o non credente che sia il lettore dell’Enciclica, se è anche uno studioso dei processi effettivi che determinano le decisioni individuali e collettive – se dunque è un realista – non trarrà dalla lettura della “Laudato si’” nè una rassegna degli ostacoli che si frappongono all’attuazione degli orientamenti in essa prescritti, nè alcuna indicazione precisa su come superarli: com’è inevitabile in una Enciclica, l’argomentazione si svolge esclusivamente su un piano normativo, del dover essere, e non su quello positivo, di una analisi degli effettivi processi in atto, o su quello politico di come modificarli, del che cosa e come fare. Come ha affermato Marco Vitale in una bella lettura dell’Enciclica per il Fai (Fondo ambiente italiano), l’Enciclica non è contro la scienza e la tecnica, né contro la libertà d’impresa, né contro il mercato. È invece contro l’estensione abnorme, a tutte le attività umane, del calcolo economico-finanziario. Insomma, è per un capitalismo moderato, consapevole che non tutte le attività umane possono essere regolate dal conto profitti e perdite risultante dalle leggi di mercato. Tre enormi ostacoli, però, si ergono contro questo auspicio.
Il capitalismo moderato e regolato che l’Enciclica auspica non è forse, al momento, un ossimoro incomponibile? Non è forse, il capitalismo, spinto in avanti da una enorme forza espansiva, alimentata dalla ricerca del profitto? E per tenerlo sotto controllo non è forse necessaria una forza politica almeno altrettanto potente, un potere egemone mondiale che condivida, almeno in parte, i valori e gli obiettivi dell’Enciclica? Così è avvenuto – in parte, ripeto – nei trent’anni successivi alla Seconda guerra mondiale, sotto la guida dell’élite liberal-democratica che allora prevaleva negli Stati Uniti. Ma dopo di allora le forze espansive del capitalismo sregolato si sono riasserite a livello planetario e la distruzione creatrice – carattere essenziale del capitalismo – ora prevale ovunque. E prevale con conseguenze non soltanto negative: centinaia di milioni di persone sono di fatto uscite negli ultimi trent’anni dalla miseria abietta in cui si trovavano.
Il secondo ostacolo proviene dall’interazione tra il capitalismo e le aspirazioni al benessere materiale dei singoli individui: il capitalismo spinge a vendere per profitto, e sicuramente plasma e distorce la spinta ad acquistare e possedere, ma questa spinta ha una diversa origine ed è dovuta a una ricerca incessante di benessere materiale e di autonomia individuale. Ed è vero che il capitalismo produce diseguaglianze e frustrazioni. Ma per molti produce benessere e imporre politicamente sobrietà, austerità e moderazione – com’è necessario se si vuole aver “cura della casa comune” – non è un’impresa facile. L’individualismo e il consumismo sono forze potenti, specie nella metà del mondo che sta appena uscendo dalla miseria, e fortissima è la speranza di cavarsela a livello personale, nell’esercizio della propria libertà, grazie ai propri sforzi e alle capacità di cui si dispone. Questa speranza sarà delusa in molti casi, ma i casi di successo sono abbastanza numerosi da giustificare il tentativo di perseguirla. E di opporsi agli impedimenti che comporta una programmazione imposta da forze politiche.
Il terzo grande ostacolo proviene da forze che con gli eccessi del capitalismo sregolato o del consumismo individualistico non hanno molto a che fare, e sorprende un poco che ad esse l’Enciclica non attribuisca un’attenzione adeguata. Contrastare le tendenze spontanee al profitto da parte degli imprenditori e al benessere materiale da parte dei consumatori esige un grado di legittimità e una fiducia nella lungimiranza delle decisioni dell’autorità politica – da ultimo di una capacità di coercizione – che oggi sono difficilmente raggiunte anche in comunità piccole, molto colte e coese, come i mitici Paesi del Nord Europa: anche in questi il conflitto è inevitabile. Ancor più è inevitabile nelle centinaia di Stati in cui è frammentata l’autorità politica a livello mondiale, anche ammettendo che ogni Stato assomigli alle piccole comunità di cui dicevo: superando i confini tra Stato e Stato il grado di fiducia nelle decisioni della politica cala drasticamente. E drasticamente aumenta il grado di coercizione ed egemonia che gli Stati più grandi e potenti debbono esercitare se vogliono raggiungere decisioni vincolanti per tutti, ciò che è necessario nelle materie di cui stiamo discutendo: la nostra casa comune, il nostro pianeta, non riconosce i confini tra Stati. Così stando le cose, si entra nel campo della Realpolitik, un campo totalmente alieno dalle esortazioni di Francesco.
Chi voglia rendersi conto dei problemi che si incontrano quando si esce dal campo delle esortazioni e si entra in quello dell’analisi realistica la lettura consigliata non è la “Laudato si’” ma un ottimo libro di sintesi che è pervaso dalle stesse preoccupazioni per il benessere della nostra casa comune che animano l’Enciclica: il recente libro di Anthony Giddens La politica del cambiamento climatico, edito dal Saggiatore. Francesco non è voce isolata. Ma il suo grande merito non è quello di averci fatto capire le difficoltà che si frappongono a una politica efficace e suggerito rimedi realistici per superarle, ma di aver ricollegato la dottrina della Chiesa alle grandi preoccupazioni contemporanee e di aver preso nettamente posizione, una posizione animata da spirito evangelico che personalmente condivido e che non sempre la Chiesa ha preso in passato di fronte ai dilemmi che si è trovata di fronte.
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