Il 17 febbraio 2019 il termine abilismo è stato insignito del titolo di “neologismo della settimana” dalla versione online della celebre Enciclopedia Treccani. L’assenza per così lungo tempo del termine dal dibattito pubblico italiano fa riflettere, considerato che si tratta di un tema introdotto già negli anni Sessanta del Novecento nell’ambito dei Disability Studies e ampiamente discusso nei Paesi anglosassoni e nordeuropei.
All’opposto, l’abilismo è presente in maniera pervasiva nella quotidianità delle persone con disabilità che subiscono svantaggi sistematici in tutti gli ambiti della loro vita: se guardiamo ad esempio i dati Istat 2019, nel nostro Paese le persone con disabilità che lavorano sono soltanto il 31,3%, rispetto al 57,8% della popolazione in generale. Le famiglie con almeno un membro con disabilità godono in media di un livello più basso di benessere economico: la presenza di una persona con disabilità abbassa del 7,8% il reddito familiare. Inoltre, i trasferimenti non sono sufficienti a garantire a queste famiglie condizioni di vita analoghe al resto della popolazione e questo a causa dei costi aggiuntivi, di natura medica e sanitaria, indotti proprio dalla disabilità. Pertanto, si constata che il 28,7% delle famiglie che includono persone con disabilità è in condizioni di deprivazione materiale, mentre il dato medio nazionale è pari al 18%.
Nel nostro Paese le persone con disabilità che lavorano sono soltanto il 31,3%, rispetto al 57,8% della popolazione in generale e le famiglie con almeno un membro con disabilità godono in media di un livello più basso di benessere economico
Secondo un’indagine recente dell’Eurobarometro, a questo si aggiunge il fatto che una parte non trascurabile della società italiana si dichiara apertamente ostile all’inclusione delle persone con disabilità: il 9% degli italiani (+1 punto rispetto alla media Ue) non si sentirebbe a proprio agio con un/a presidente della Repubblica con disabilità; il 6% (+2 punti rispetto alla media Ue) sarebbe a disagio se dovesse interagire ogni giorno con un/a collega con disabilità; il 13% (+2 punti rispetto alla media Ue) avrebbe qualche difficoltà ad accettare un partner con disabilità per i propri figli.
Per cercare di comprendere la persistenza di ostacoli all'inclusione delle persone con disabilità, bisogna domandarsi, innanzitutto, quali siano i meccanismi di fondo – espliciti e impliciti – che ostacolano la loro piena inclusione e partecipazione alla vita sociale e come essi si manifestino nei differenti ambiti di vita (istruzione, sanità, possibilità di muoversi con diversi mezzi di trasporto, tempo libero ecc.).
Un meccanismo pervasivo, insidioso e invisibile, dato “per scontato”, è proprio l’abilismo.
Ma che cosa si intende per abilismo? Quale impatto ha sulla vita delle persone con disabilità? Il termine viene fatto risalire ai movimenti per i diritti delle persone con disabilità negli Stati Uniti e in Gran Bretagna negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e rappresenta una nuova categoria per descrivere i processi di esclusione sociale e di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità (G. Wolbring, 2008). Abilismo è un termine ampio che include le norme e i codici spesso inconsapevoli che modellano le nostre rappresentazioni sulla disabilità. Questa parola pone al centro la costruzione sociale dell’abilità, che è stata a lungo considerata come un “dato per scontato” ed evidenzia il modo in cui le aspettative e le credenze sull’abilità dei corpi vengono costruite socialmente, riconosciute e sostenute a livello culturale: basti pensare per esempio all’abilità di lavorare, di ottenere un’istruzione, di essere parte della società e di essere considerati cittadini a pieno titolo (Contours of Ableism: The Production of Disability and Abledness, F. K. Campbell, 2009).
L’abilismo può assumere diverse forme: può essere benevolo, ostile, ambivalente o interiorizzato. Non a caso Wolbring inquadra l’abilismo come termine generico per altri -ismi e che non può essere separato dall’etero/sessismo, dal razzismo, dall’omofobia, dal colonialismo, dal patriarcato, dal capitalismo. In questo senso, l’abilismo rappresenterebbe l’intersezione di diverse discriminazioni. Parlare di abilismo può essere fruttuoso non solo per comprendere le disabilità, ma anche per porre l’attenzione verso altre differenze e/o gruppi sociali svantaggiati.
L'abilismo è inquadrato come termine generico per altri -ismi, che non può essere separato dall’etero/sessismo, dal razzismo, dall’omofobia, dal colonialismo, dal patriarcato, dal capitalismo
Questo nucleo di considerazioni teoriche è alla base del progetto di ricerca Ismi (An Intersectional Study on Multiple Inequalities). La denominazione Ismi, che declina al plurale il suffisso -ismo proprio dei termini che identificano le forme di discriminazione, sottolinea l’adozione di un approccio intersezionale, che pone in stretta relazione l’abilismo con le altre forme di discriminazione e ne mette in luce sovrapposizioni e somiglianze.
Seguendo il motto "Nulla su di noi senza di noi", la prima ricerca empirica sugli atteggiamenti abilisti in Italia ha coinvolto attraverso una metodologia di ricerca partecipativa un gruppo di persone con disabilità esperte di esperienza e/o per attività di studio e di ricerca sull’abilismo. Il processo di ricerca e i suoi primi risultati sono confluiti nella pubblicazione Nulla su di noi senza di noi. Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia (FrancoAngeli, 2022), scaricabile gratuitamente. Il libro offre una sintesi del lavoro di ricerca e presenta i principali risultati della rilevazione e un’ampia sezione nella quale le persone coinvolte come co-ricercatrici accompagnano chi legge nella loro quotidianità per mettere a tema come l’abilismo si manifesti in ogni ambito della vita: a scuola, al lavoro, in vacanza, nel tempo libero.
La ricerca si è sviluppata attraverso una cooperazione democratica di saperi accademici ed esperienziali, attraverso un approccio, quello partecipativo, in grado di co-produrre insieme cambiamento sociale, empowerment e costruzione condivisa di conoscenza. Il programma di lavoro è stato strutturato in tre fasi.
Dopo aver costituito il panel di persone con disabilità, sono stati organizzati sette incontri online finalizzati, da un lato, a concordare una definizione comune di abilismo e, dall’altro, sulla base di esempi di vita, a predisporre un elenco di item per costruire una scala di rilevazione sugli atteggiamenti abilisti. Questa fase ha costituito l’obiettivo centrale del lavoro di ricerca partecipativo. Tra un incontro e un altro il team della ricerca e i panelisti hanno elaborato un elenco esaustivo di item, suddivisi in diverse aree tematiche. L'ultima fase ha visto l’elaborazione e la somministrazione a un campione rappresentativo di 1.500 italiani un questionario nel quale, insieme alla scala sugli atteggiamenti abilisti sviluppata con il panel, sono state incluse scale di atteggiamento validate nel contesto italiano riguardanti il sessismo, il classismo e il razzismo.
Sul piano legislativo l’Italia è probabilmente un contesto più favorevole di altri all’inclusione delle persone con disabilità: si pensi per esempio alle politiche in materia di inclusione scolastica, un'avanguardia nel panorama internazionale, con una tradizione più che quarantennale (l. 517/1977, l. 104/1992 e, più di recente, d.lgs. 66/2017); oppure alla normativa sul collocamento mirato (l. 68/99). Ma gli esiti della ricerca condotta mostrano come vi sia ancora una lunga strada da percorrere per promuovere una società davvero inclusiva e rimuovere le barriere culturali alla piena partecipazione sociale delle persone con disabilità. Per tornare sul piano legislativo, la difficile attuazione di alcune misure rischia di demandarne l’applicazione e, di conseguenza, anche gli effetti, alla buona volontà e all’esercizio della discrezionalità di operatori/trici, insegnanti e educatori/educatrici. Al contrario, sarebbero da perseguire pratiche inclusive istituzionalizzate esenti da pregiudizi e stereotipi, come per esempio l’attuazione di misure mainstreaming universali sulla disabilità. Questo contribuirebbe a ridurre i fenomeni di discriminazione e di disuguaglianza sociale.
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