La pandemia in pochi mesi ha trasformato il volto della società contemporanea e la cambierà ancora negli anni a venire, da molti punti di vista. L’emergenza Covid-19 sta ridefinendo il concetto di rischio sociale e il contesto in cui i rischi «tradizionali», come la povertà, sono collocati. Anzitutto per quanto riguarda la sua dimensione sanitaria: a differenza di altre malattie, questo virus è apparso come una minaccia invisibile e invincibile, che può toccare tutti, in modo quasi casuale. nei suoi confronti non si hanno difese, e gli individui sono esposti non a un fenomeno calcolabile e razionalmente ponderabile ma alla paura dell’ignoto. Se dunque nel recente passato la gran parte dei rischi sociali è stata messa sotto controllo dalle società sviluppate, il Coronavirus ci ha esposto alla fallibilità del «non controllo».
Un secondo aspetto attiene al rapporto tra salute e dimensione relazionale: in assenza di un vaccino, l’unico strumento di protezione è stato assumere di fatto i comportamenti antisociali del distanziamento e dell’isolamento: una solitudine forzata e assunta a norma, in cui l’altro rappresenta un pericolo e la relazione sociale, che per l’individuo era arricchimento e strumento contro i rischi sociali, oggi diviene rischio essa stessa.
Il terzo versante di trasformazione del concetto di rischio sociale attiene agli effetti dell’isolamento in termini di disagio sociale: anzitutto in termini di reazione psicologica alle paure e alla percezione degli altri, con il pericolo che l’isolamento si trasformi in un aumento dei fenomeni di conflittualità sociale, odio e rancore, amplificando un tratto della società post-crisi economica – già fotografato recentemente dal Censis – in cui la reazione alla delusione delle aspettative di benessere non corrisposte porta a effetti di chiusura individuale e scontro con gli altri.
Questo tema, pur importante e con conseguenze di natura sociale, attiene più che altro a reazioni di natura emotiva. Ciò che qui interessa è piuttosto l’indebolimento delle reti sociali e i suoi effetti, per la comunità e per gli individui. Perché la forza delle relazioni sociali e della solidarietà comunitaria non è solo un valore collettivo, ma rappresenta anche un capitale nelle mani del singolo individuo per fronteggiare i tradizionali rischi sociali. E certamente la solitudine forzata ha indebolito il tessuto sociale e i legami di solidarietà comunitaria, con effetti più dannosi per chi su tali legami faceva maggiore affidamento. Se dunque i primi due aspetti della trasformazione dei rischi sociali causati dal Coronavirus tendono a colpire in maniera indifferenziata, questo terzo versante non è distribuito in maniera uniforme in tutta la società, ma in modo diseguale, con una maggiore incidenza su individui e categorie meno protette e più vulnerabili.
Spostandoci dagli aspetti di disagio più strettamente sociale, a quelli di natura socio-economica, i rischi di un aumento della disuguaglianza per effetto del Covid sono anche più evidenti: nel medio periodo la pandemia determinerà una fase recessiva dell’economia, che porterà con sé aumento della disoccupazione e della povertà. Questo fenomeno colpirà maggiormente le categorie meno tutelate e protette e in generale gli individui e le famiglie che soffrono oggi di qualche forma di deprivazione, non solo strettamente economica: è noto infatti che la povertà, vale a dire la scarsità di reddito, è il risultato di altre forme di deprivazione e insicurezza (abitativa, di lavoro, di salute, di formazione ecc.) e ad esse strettamente correlata. In sostanza chi è disoccupato o precario, malato, poco formato o senza una casa di proprietà ha un maggiore rischio di cadere in povertà e sarà più vulnerabile di fronte alla crisi economica prodotta dalla pandemia.
Senza approfondire oltre la relazione tra le varie dimensioni della deprivazione, qui mi concentrerò esclusivamente sugli effetti del Covid in termini di scarsità di reddito: la povertà aumenterà non solo in Italia, ma in tutta Europa (e non solo), perché la crisi economica e occupazionale, che comporterà una riduzione del reddito pro capite, farà scivolare sotto la soglia di povertà chi oggi si trova di poco al di sopra (aumento dell’incidenza della povertà) e peggiorando le condizioni economiche di chi è già povero (aumento dell’intensità della povertà stessa). Ciò avverrà in un contesto in cui gli strumenti di regolazione pubblica saranno più tenui, per i vincoli di finanza pubblica su cui la crisi economica inciderà negativamente, stringendo le maglie dei sistemi di Welfare.
[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 3/20, pp. 465-473. Il fascicolo è acquistabile qui]
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