Le disposizioni emanate dai ministri dell’Istruzione e dell’Università e della Ricerca forniscono indicazioni fondamentali per garantire la validità, non soltanto formale, dell’anno scolastico e dell’anno accademico in corso, ma permangono aperte alcune questioni che richiedono una particolare considerazione.
Il settore dell’Istruzione, strategico per lo sviluppo del Paese, rischia di non ricevere la dovuta attenzione, presi come siamo dalla battaglia contro il virus e dal bisogno di soccorrere l’economia. Non si tratta di anteporre un settore produttivo rispetto a un altro: queste nostre riflessioni intendono sollecitare un’attenzione “anche sull’Istruzione” nell’ambito di un progetto più ampio e articolato.
Per l’università sono state assunte le seguenti condivisibili decisioni:
- il termine dell’anno accademico è stato prorogato al 15 giugno;
- l’aumento delle borse di specializzazione nelle diverse specialità mediche (del tutto insufficiente: dalle ventilate 5.000 borse in più, per un totale di circa 12-13.000, sembra che avremo in totale 9.000 borse; gli aspiranti specializzandi sono stimati in 18-19.000, e 1.500 i giovani medici che si specializzano all’estero).
- l’impegno (sia pure ancora insufficiente) di ampliare il “numero chiuso” ai corsi di medicina;
- la scadenza del pagamento delle ultime rate di iscrizione è stata rinviata e affidata all’autonoma decisione dei singoli atenei;
Permangono alcuni problemi. Dell’enorme impegno profuso dagli atenei (strutture, docenti, studenti, tecnici) nella didattica a distanza non si può che essere soddisfatti, ma, come per la scuola, una volta superata la fase di emergenza non si deve pensare di trasformare questa modalità straordinaria in una strategia operativa ordinaria. Le opportunità offerte dalle nuove tecnologie didattiche, a regime, dovranno servire esclusivamente per integrare/migliorare l’insostituibile approccio in presenza (parimenti non sostituibile in caso di tirocini, di attività di laboratorio, di uscite sul campo. Si pensi, ad esempio, alle attività pratiche, specifiche di professioni come quella dei geologi e degli archeologi).
La necessità di correre ai ripari in fretta, non ha consentito a tutti una scelta ponderata nell’uso di hardware e software, tenendo conto di eventuali diverse esigenze.
L’uso di diverse piattaforme software, in genere rese disponibili per un intero ateneo, pone, inoltre, una serie di questioni di carattere tecnico-scientifico e politico in senso lato. L’attuale crisi ha fatto emergere una debolezza tecnologica del nostro Paese proprio in un settore strategico, in particolare per l’avvenire dell’organizzazione del lavoro nella “futura” green society, quello delle piattaforme per i servizi di rete, tra cui le piattaforme di collaborazione on-line: è auspicabile che non si debba ricorrere solo a piattaforme proprietarie commerciali, spesso di proprietà di quei giganti del web, vere e proprie “meta-nazioni digitali”, che sono anche al centro di una delicata contesa fiscale con l’Italia. Si approfitti di questa circostanza per rilanciare in Italia la ricerca e lo sviluppo di soluzioni anche in tale settore, magari in collaborazione con il mondo dell’Open Source, che rappresenta una realtà ormai consolidata e che, nel vero senso del termine, tiene in funzione la stessa Rete globale.
In ogni caso occorre che gli studenti siano in grado di utilizzare un’adeguata postazione di lavoro, dotata di necessari strumenti hardware e software, oltre che di una connessione stabile, a banda larga. Per il momento non è certamente così per tutti. Ciascun ateneo, attraverso i dipartimenti e i corsi di studio, potrebbe segnalare le necessità in questo campo e adoperarsi in tempi rapidi nella risoluzione del problema. Da parte loro il governo e il ministero dovrebbero stanziare adeguati finanziamenti.
Mentre per lezioni ed esami di laurea la soluzione a distanza, sia pure d’emergenza, risulta sufficiente e accettabile, la gestione degli esami di profitto rappresenta una seria criticità che molti docenti, come gli stessi studenti, stanno toccando con mano in queste settimane. Il problema si riscontra in particolare con le prove scritte, spesso adottate quando si ha un gran numero di studenti, ma anche la modalità orale non è esente da serie criticità. Certo, a oggi, sono stati svolti più di 100.000 esami di profitto a distanza, ma come è possibile garantire una valutazione serena e, al tempo stesso, seria, equa e coerente per tali prove?
Oltre a problemi squisitamente tecnici si pongono anche dimensioni etico-pedagogiche, che non si possono lasciare alla gestione dei singoli docenti, che stanno affrontando le diverse criticità che si presentano con responsabilità e flessibilità.
Le linee guida sin qui elaborate per gli esami di profitto a distanza appaiono insufficienti a garantire un dignitoso svolgimento e una coerente valutazione delle singole prove. Ad esempio, se nella scuola il rapporto docente-discente è basato su una diretta conoscenza ed è supportato, in ambito valutativo, dall’espressione collegiale del consiglio di classe, ciò non avviene in ambito accademico. Per il prossimo appello estivo (sperando che a settembre la situazione possa cambiare) sarebbe importante concentrare gli sforzi per garantire uno standard di qualità accettabile per gli esami a distanza.
Se è stato giusto finanziare la realizzazione e/o la ristrutturazione di nuovi presidi sanitari, riteniamo altrettanto giusto prevedere finanziamenti per l’edilizia scolastica e universitaria, per rendere realmente praticabile quel “distanziamento fisico” da mantenere nella fase, non si sa quanto lunga, in cui bisognerà convivere con il virus. Si pensi ai laboratori, sempre angusti e mai sufficientemente attrezzati, ma anche alle aule e agli spazi comuni.
Purtroppo alcuni organi di stampa in questi giorni hanno rilevato come non siano previsti, per ora, nuovi stanziamenti straordinari per il settore dell’università e per quello, non meno importante, della ricerca. Auspichiamo che il ministero dell’Università e della Ricerca sia sensibile a questa tematica ed elabori un piano nazionale per aumentare lo spazio e le dotazioni per le aule e per i laboratori, così da riuscire ad affrontare sia l’attuale fase di emergenza sia quella, prossima ventura, di convivenza con il virus.
Ancora, riteniamo decisivo che il ministero, insieme con le Regioni, appronti un percorso specifico e straordinario per gli studenti così da garantire il diritto allo studio (borse, alloggi). Una particolare attenzione andrebbe rivolta agli studenti fuori sede, molti dei quali stanno continuando a pagare l’affitto, senza potere usufruire dell’abitazione, e hanno bisogno di un orizzonte il più possibile sicuro per programmare il proprio immediato futuro.
Una menzione a parte meritano le operazioni nazionali della Vqr e dell’Asn, che, a loro modo importanti, coinvolgono atenei, dipartimenti, singoli docenti e ricercatori.
Il ministro ha deciso di rinviare la scadenza fissata per il completamento dell’intera procedura di Vqr. Si è trattato di un provvedimento giusto che ha accolto le richieste fatte direttamente dal Cun, da molte associazioni scientifiche dell’area 11 (storia, filosofia, pedagogia, psicologia) e dai sindacati come la Flc.
Come è noto da questa attività di valutazione dipende una parte dei finanziamenti da assegnare agli atenei e ai dipartimenti, ma le obiettive condizioni di lavoro, di concentrazione e di interazione tra diversi soggetti che essa richiede (docenti, ricercatori, personale tecnico-amministrativo, comitati nazionali di valutatori, esperti esterni), oltre alle annose “criticità”, che la caratterizzano, consigliano, a causa dell’attuale emergenza, un rinvio di dodici mesi. Sarebbe quindi opportuno che l’attuale valutazione per il periodo 2015-2019 si estendesse al 2020. Ci sembra una ragionevole proposta che, ovviamente, non preclude una futura discussione sulle modalità della Vqr e sul suo uso pratico, nonché un ripensamento del ruolo e delle funzioni dell’Anvur, come da più parti ritenuto necessario.
L’abilitazione scientifica nazionale è stata posticipata di un paio di mesi nelle sue deadline fondamentali, il che ci sembra insufficiente. Tale procedura, infatti, coinvolge le legittime aspettative di reclutamento e/o di avanzamento di carriera di migliaia di ricercatori e di docenti e riteniamo che un rinvio più significativo (da 6 a 9 mesi) o l’indizione di una ulteriore sessione straordinaria garantirebbe a tutti i candidati una maggiore serenità e possibilità effettiva di raggiungere i parametri stabiliti dalle commissioni relative ai vari settori concorsuali. Bisogna, infatti, considerare che l’epidemia ha causato l’improvvisa chiusura di case editrici, tipografie, redazioni di riviste, archivi, biblioteche, laboratori, scavi archeologici, provocando una obiettiva e imprevedibile difficoltà di accesso alle fonti e un ritardo nelle pubblicazioni programmate.
Riteniamo, infine, che dovrebbero essere prese in considerazioni anche altre questioni, fra cui:
- la proroga delle borse di studio degli studenti di dottorato, impossibilitati a svolgere periodi di tirocini all’estero (ormai obbligatori per quasi tutti i dottorati) o in azienda (per i dottorati industriali). È utile ricordare che queste misure, con forma e modulazione diverse, sono state richieste anche dal Cnsu, dal presidente Cun, dai sindacati, da associazioni come Adi ecc.;
- la proroga dei contratti di assegnisti e di ricercatori a tempo determinato, nel caso in cui fossero impossibilitati a portare a termine i loro programmi di ricerca per difficoltà oggettive, quali la chiusura di laboratori, archivi e biblioteche.
Tali questioni andrebbero affrontate e risolte anzitutto nell’interesse dei giovani studiosi, ma anche per continuare a garantire la qualità della ricerca e della didattica nelle nostre università.
[Questo articolo è scritto in collaborazione con Giuseppe Bagni, insegnante di scuola secondaria di secondo grado, presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti e membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione; Evelina Chiocca; Salvatore Salzano, insegnante di scuola secondaria di secondo grado.]
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