Assalto al presidente. In Guinea Conakry, le prime elezioni democratiche della storia si concludono nel dicembre 2010 con la vittoria dell’eterno oppositore , ex professore esiliato, condannato e imprigionato dai diversi regimi militari che si sono susseguiti alla guida del Paese. La precarietà dell’assetto istituzionale e la complessità dei problemi ereditati, tuttavia, si rivelano nella notte fra il 18 e il 19 luglio 2011: un commando militare prende d’assalto il palazzo presidenziale dove dorme Alpha Condé. Nel duro scontro trovano la morte un membro della scorta presidenziale e diversi assalitori, ma il golpe è sventato. Nonostante il discorso conciliante rivolto l’indomani dal presidente, le misure repressive sono state particolarmente rigide: interdizione della libertà di stampa, limitazione del diritto di manifestazione, rinvio delle elezioni legislative. Rimane da capire chi e perché abbia interesse a sovvertire l’ordine democratico faticosamente conquistato in Guinea. Tre sono le ipotesi possibili.
La prima è stata recentemente avanzata dal presidente Condé in persona: il golpe sarebbe stato orchestrato a Dakar. Il presidente senegalese, Abdoulaye Wade, non nasconde infatti il suo appoggio all’Ufdg, il partito liberale all’opposizione in Guinea. Il suo presidente, Cellou Dalein Diallo, finanziato da Wade ma sconfitto da Condé alle ultime presidenziali, è spesso a Dakar, dove nell’aprile scorso è stato insignito della medaglia d’oro delle imprese senegalesi, alla presenza del presidente e del primo ministro. Il numero due dell’Ufdg, Bah Oury, è stato in un primo tempo ritenuto il mandante dell’attentato a Condé. Se non è difficile individuare i potenziali moventi dell’opposizione (derive autoritarie del presidente Condé, imprigionamenti politici, nessuna concertazione, rinvio delle elezioni, contestata riforma delle circoscrizioni elettorali), più difficile è capire quale interesse animerebbe Wade a infiammare la regione, già dilaniata da conflitti etnici insoluti e memore dei recenti massacri in Sierra Leone e Liberia. L’implausibilità di quest’ipotesi, al contrario, sembra piuttosto additare le propensioni autoritarie dell’attuale governo guineano, che si gioverebbero naturalmente di una criminalizzazione in blocco dell’opposizione.
La seconda ipotesi chama in causa le trame della Françafrique, la rete occulta di relazioni che garantiscono alla Francia il controllo delle ex-colonie, già in passato segnalatasi per exploit analoghi (vedi in Togo, Burkina Faso, Niger, Ciad, ecc.). Tuttavia Alpha Condé sembra essere tutt’altro che d’ostacolo agli interessi del circolo françafricano. Condé è amico dell’ex-ministro della Cooperazione francese, Pierre-André Wiltzer, e dell’ex-ministro degli Affari Esteri, Bernard Kouchner. In occasione del suo arresto per “alto tradimento” da parte della giunta militare, sono i fratelli Bourgi (consiglieri di Chirac poi di Sarkozy, nonché dei vari petro-dittatori africani Bongo e Deby) a mediare per la liberazione di Condé. Bolloré, il magnate delle costruzioni e re dei mega appalti nel continente nero (francofono), sul cui yacht Sarkozy ha festeggiato l’elezione presidenziale nel 2007, gli ha addirittura curato la campagna elettorale tramite la sua agenzia di comiunicazione e il suo stesso biografo. In cambio Condé, non appena eletto, si è affrettato a denunciare manu militari l’appalto per il porto di Conakry, concluso con un concorrente di Bolloré e a trasferire l’opera a vantaggio di quest’ultimo.
L’ipotesi più plausibile, quindi, indica negli ambienti militari i reali autori dell’attentato. Saldamente al potere dal 1984, le diverse giunte hanno creato un vero e proprio buco nero nel bilancio dello Stato. A oggi nessuno sa con esattezza quanti siano i militari in Guinea. Si sa però che esistono più graduati che soldati, migliaia di stipendi pagati a prestanome e che la criminalità più redditizia e più pericolosa per la regione – il traffico internazionale di stupefacenti e di armi – è solidamente in mano all’esercito. Completano il quadro la diffusa corruzione, incompetenza, impunità, le divisioni etniche e le ripetute violazioni dei diritti umani. La riforma dell’esercito è quindi in testa alle priorità del governo Condé, che ha in proposito commissionato un auditing delle commesse pubbliche ereditate dai suoi predecessori, e un timido rinnovamento dei quadri ufficiali più collusi con le precedenti dittature. Inoltre, il governo Condé sembra intenzionato a perseguire, come richiesto dall’Onu, i responsabili dell’eccidio politico del 28 settembre 2009, che fece 159 morti, centinaia di feriti, mutilati e donne stuprate, fra le fila degli oppositori alla dittatura, convenuti allo stadio di Conakry per un meeting. Condé, all’inizio del proprio mandato, ha scelto (suscitando molte critiche) di integrare nel proprio governo alcuni dei responsabili del massacro, al fine di guadagnare i favori di parte degli ambienti militari. Evidentemente, a qualcuno questo gesto non è parso abbastanza rassicurante.
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