Le città sono divenute gli incubatori dello sviluppo mondiale. Contribuiscono a definire il carattere degli insediamenti umani, la natura dell’Antropocene, la forza dell’economia politica. Anche qui, come in un libro appena pubblicato, cercherò di dimostrare quanto la capacità generativa delle città derivi in larga misura dal potere dei sistemi socio-tecnici, mediante i quali le innumerevoli presenze e i flussi che definiamo città acquisiscono forza, capacità direzionale e influenza spaziale. Questo modo di concepire la città richiede una distribuzione paritaria, combinatoria ed estemporanea di pratiche di conoscenza che mettono in discussione tradizioni disciplinari e professionali consolidate.
Sino a oggi, l’idea che la conoscenza del mondo implichi una conoscenza della città ha avuto scarsa influenza sulla riflessione delle scienze sociali mainstream e sulle pratiche consolidate nel quadro degli orientamenti di politica nazionale e internazionale.
Dal punto di vista disciplinare, le città rimangono appannaggio di conoscenze specialistiche in materie come urbanistica, pianificazione urbana e rurale, architettura e design urbano, geografia urbana, antropologia e sociologia. Anche se tali conoscenze hanno sviluppato idee e strumenti di indagine specifici, di fatto non hanno apportato alcuna modifica sostanziale ai fondamenti teorici dell’economia, della scienza politica, della sociologia; né in realtà della stessa geografia umana, la più spaziale tra queste discipline. L’economia, incentrata sulle leggi della ricchezza, della produzione e della distribuzione, anche quando si è fermata a considerare le differenze spaziali e le dinamiche territoriali, non si è chiesta se le questioni della concentrazione urbana – l’agglomerato di imprese, istituzioni, infrastrutture, competenze e know-how nelle città – potessero rappresentare un’occasione per un ripensamento dei suoi assunti di base.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 3/17, pp. 361-376, è acquistabile qui]
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