Era l’8 settembre 2007 quando andava in scena – letteralmente, su un palco – il «Vaffa day». Da lì sarebbe partito il Movimento 5 Stelle, una startup partitico-movimentista di enorme successo che ha mutato il panorama politico nazionale introducendo un contesto tripolare.

Oggi si potrebbe dire «dieci anni e sentirli tutti» dal punto di vista delle performance e delle politiche amministrative più o meno implementate. Un po’ come il passaggio dai rivoluzionari empiti giovanili a una certa fine delle illusioni man mano che l’età avanza – e, come nel caso della leadership pentastellata, ci si prepara (almeno stando alle dichiarazioni ufficiali e ai proclami formali) a caricarsi sulle spalle il gravoso compito di governare. Tale passaggio di strategia e forma mentis politica – se sta avvenendo – può venire utilmente osservato alla luce delle permanenze e delle innovazioni riscontrabili all’interno della comunicazione politica del Movimento.

E, dunque, come cambiano (o meno) i pattern comunicativi durante questi stadi della sua non lunghissima esistenza? Dal momento che il M5S, autentico ircocervo postmoderno del sistema politico italiano in transizione permanente (proiettato verso una situazione di potenziale, ulteriore stasi), trova nella dimensione comunicativa una parte essenziale e irrinunciabile del proprio dna, il surrogato-sostituto simbolico della discussione interna quale attributo della propria vita – più o meno – democratica (in primo luogo, mediante i veicoli delle piattaforme digitali) e, per molti versi, la propria medesima sostanza politica, esempio e riconferma della validità del distico secondo cui la forma è sostanza. Una traiettoria e una parabola racchiuse in un ciclo storico che va dalla diffidenza, quando non dal rigetto (con tanto di incitamento allo scontro fisico, come esplicitato da Alessandro Di Battista e altri in più occasioni), nei confronti dei «giornalai» e dall’embargo rispetto alle presenze televisive fino alla «corsa matta e disperata » all’ultima ospitata – con scontri di personalismi, gelosie e invidie (come mormorano i boatos di palazzo) tra i «portavoce» beneficiati e quelli esclusi dal magico piccolo schermo, fino a che lo «staff» (un’entità quasi metafisica, se non mitologica, e di sicuro mitopoietica…) ha provveduto alla regolazione e alla determinazione dei meritevoli, o di coloro che vengono ritenuti maggiormente efficaci ai fini della promozione della causa e della politica pentastellate.

Nel novero dei grassroots movements contemporanei (e i meetup territoriali degli «Amici di Beppe Grillo» degli esordi risultano perfettamente riconducibili e sovrapponibili a tale formula politico-organizzativa), il M5S si caratterizza, tra le tante peculiarità, per una di natura specificamente comunicativa.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/17, pp. 752-759, è acquistabile qui]