Nessun esponente politico europeo potrà mai fare proprio previo opportuno adattamento lo slogan della campagna elettorale di Donald Trump «rendiamo di nuovo grande l’America». Da lungo tempo, infatti, la grandezza non abita più questa parte d’Europa: non ultimo per la buona ragione che abbiamo imparato sulla nostra pelle di quante lacrime e sangue grondi quasi sempre la grandezza quando si tratta di politica. Ciò nonostante i risultati delle elezioni americane ci riguardano da vicino poiché esse valgono a far luce su alcuni nodi critici caratteristici pure delle nostre società. Ma non già solo su quello continuamente evocato in questi giorni del «politicamente corretto», diventato adesso (ma solo adesso) oggetto di universale deprecazione. Ci sono cose che contano assai di più. Che dovrebbero contare assai di più agli occhi sia della destra che della sinistra europee se queste vogliono continuare ad avere qualcosa da dire ai loro elettorati.
Il nodo più importante è quello rappresentato dal binomio liberismo-globalizzazione, che da almeno un trentennio domina l’orizzonte mondiale. Ora non c’è dubbio che anche grazie ad esso su tutto il pianeta centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà. Ma nei Paesi occidentali è avvenuto l’opposto.
Ammettiamo pure che la gigantesca redistribuzione delle risorse su scala mondiale prodotta dal binomio di cui sopra sia stata e sia moralmente giusta. Essa tuttavia è avvenuta, in sostanza, a spese di una parte non indifferente dei cittadini europei e americani. Nella maggior parte dei nostri Paesi le diseguaglianze tra i redditi e le differenze di status sono di conseguenza aumentate di molto. È cresciuto il numero dei poveri. La mobilità sociale si è quasi del tutto bloccata: chi oggi vive nell’indigenza e nel disagio, in squallidi quartieri dormitori, in periferie prive di tutto, non ha quasi più alcuna speranza che i propri figli abbiano domani un’esistenza migliore. Si calcola ad esempio che negli Stati della costa orientale degli Usa, roccaforte da sempre (e anche una settimana fa) del Partito democratico, la probabilità di un bambino nato dai genitori più poveri di raggiungere la classe più elevata si aggiri in media (in media) intorno al 5%.
La destra e la sinistra europee tradizionali non solo si sono accorte con molto ritardo di come si stavano mettendo le cose, ma quando pure lo hanno fatto — trovandosi oltretutto alle prese con la crisi economica sopraggiunta nel 2008 — non hanno poi saputo cosa fare. Molto probabilmente perché convinte di essere ormai le padrone in regime di monopolio del mercato elettorale. Così più o meno dappertutto destra e sinistra hanno lasciato che i sistemi di protezione del Welfare (da quello delle pensioni a quello della sanità) lentamente ma implacabilmente si deteriorassero e perdessero pezzi; e insieme che il sistema fiscale volto ad alimentarlo continuasse a favorire attraverso vari espedienti legali le medie e grandi ricchezze. Legatesi con la massima superficialità a una moneta unica e alle relative politiche di bilancio di natura restrittiva, le forze di governo tradizionali non sono state in grado di creare flussi di investimenti pubblici capaci di assorbire le crescenti quote di disoccupazione, nel mentre però continuavano a elargire finanziamenti statali a sostegno delle più varie attività e degli interessi forti. In Paesi come l’Italia o la Grecia, poi, esse hanno continuato a permettere tassi di evasione fiscale altissima. Un po’ dappertutto, infine, dove più dove meno, hanno assistito senza muovere un dito al degrado dei sistemi d’istruzione pubblica, e al loro concomitante abbandono da parte dei figli delle classi agiate, con relativo effetto logorante su ogni futura coesione sociale.
Contemporaneamente tale coesione è venuta incrinandosi anche per un’altra via: quella dei comuni legami ideali. Fino a qualche tempo fa, e sia pure in modi diversi a seconda delle loro diverse storie, tanto la destra quanto la sinistra europee tradizionali traevano da tali storie un loro specifico rapporto con numerose dimensioni collettive, ognuna espressione e matrice di importanti valori condivisi: la nazione, la classe, lo Stato, il partito, il sindacato, la Chiesa, la famiglia. Questo complesso universo di legami e di fedeltà, spesso tra loro intrecciati e sovrapposti, ha subìto l’urto disgregatore dei tempi nuovi. Nel vecchio continente come negli Stati Uniti, i partiti della destra e della sinistra egemoni non hanno capito — o lo hanno capito solo molto debolmente — che in questo modo, però, si apriva un gigantesco vuoto nel corpo sociale. Un vuoto che unito alle molteplici difficoltà economiche di cui ho detto sopra, era la potenziale premessa per la diffusione in molti di uno stato d’animo di abbandono e di spaesamento, di solitudine, era la premessa per l’insorgere di un dubbio sottile ma angoscioso sul valore della propria identità e della tradizione del proprio gruppo, di oscuro timore circa il futuro.
Invece di comprendere tutto questo, invece di cercare dunque nuove motivazioni e nuove forme per le dimensioni della vita collettiva in crisi, invece di cercare il modo di rinvigorire i valori in esse contenute, il più delle volte la destra e la sinistra di sistema hanno addirittura assecondato di fatto i processi di disgregazione dei legami sociali. Invece di ricordare che la politica si alimenta di passioni e di sogni, che è quella cosa capace di gettare un ponte tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere, hanno dato mano a ogni lesione concreta o simbolica del passato (si trattasse di un paesaggio, di un luogo o dei programmi scolastici), hanno favorito la messa da parte di tutto quanto fosse dichiarato «sorpassato» o «antieconomico» (dalla maestra unica nelle elementari agli uffici postali e agli sportelli delle biglietterie delle stazioni in tanti centri minori). Schierandosi regolarmente a sfavore del «piccolo» e dalla parte del «grande», a sfavore della parte più culturalmente arretrata, più anziana, più geograficamente periferica, più indigente della popolazione; a sfavore dell’identità dell’uomo della strada contro i sacri diritti del libero individuo emancipato. Dimenticando che però quando arriva il momento di votare, si dà il caso che i piccoli, che la gente qualunque, che gli uomini della strada, possano alla fine risultare in maggioranza.
[Questo articolo è stato pubblicato sul «Corriere della Sera»]
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