Qualche settimana fa, Gianluca Callipo, giovane sindaco di Pizzo Calabro e dirigente del Partito democratico, ha dichiarato che nelle elezioni regionali che si svolgeranno nell’autunno del prossimo anno appoggerà uno dei candidati provenienti dalle fila del centrodestra, e per la precisione da Forza Italia, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. Ha poi aggiunto che non intende lasciare il Pd, perché questa scelta, vista la condizione di estrema debolezza in cui versano il suo partito e l’intero centrosinistra nella regione, gli sembra l’opzione migliore per il futuro della Calabria.
A prima vista si tratta soltanto di uno dei tanti casi locali di passaggio improvviso da uno schieramento politico a quello avversario. Eppure, questa volta, probabilmente c’è di più: sia per la tempistica (il sindaco Callipo è sceso in campo a favore di un avversario prim’ancora che questo avesse conquistato la nomination nella sua coalizione, così da favorire tale scelta all’interno della squadra avversaria); sia per le motivazioni politiche (il civismo e alla buona amministrazione) con le quali ha giustificato la sua posizione. Quest’ultimo punto ha un indubbio rilievo in quanto Callipo, nel corso del 2015, è stato eletto coordinatore nazionale dell’Anci Giovani e, nel 2017, presidente dell’Anci calabrese: si presenta quindi come un buon conoscitore delle istituzioni politico-amministrative calabresi. Callipo e Occhiuto sono due sindaci che godono di un vasto seguito elettorale e che vantano alcuni indubbi risultati positivi nella loro azione amministrativa sul piano delle opere infrastrutturali, della promozione culturale e turistica e degli interventi di recupero urbano, sebbene in due dimensioni differenti: quelle di una città capoluogo e quelle di un piccolo centro.
Dicevamo che l’aspetto più interessante della vicenda – senza approfondire l’analisi dei circuiti familiari e parentali che, ancora una volta, nel mutamento dei sistemi politici, partitici ed elettorali, costituiscono il trait d’union nella selezione del ceto politico calabrese e meridionale – riguarda gli argomenti posti a fondamento del sostegno di Callipo a favore del collega Occhiuto: il civismo e il buongoverno. Esaminiamoli uno per volta, nei loro chiaroscuri.
In un’epoca come quella che stiamo vivendo – caratterizzata in tutti i Paesi occidentali da un'evidente crisi della democrazia rappresentativa, con ripetute manifestazioni di disaffezione verso la politica che si esprimono in vario modo – da più parti è stato segnalato che il civismo rappresenta un segnale positivo di partecipazione e di impegno diretti dei cittadini sui grandi temi politici, oltre i logori confini di partito, e che può contribuire a produrre un rinnovamento generale della politica. In questo senso, anche le liste civiche possono offrire un rilevante contributo al ricambio della rappresentanza politica su scala locale. Eppure, a proposito dei casi citati, forse c’è dell’altro. Alcuni dati fanno riflettere: si pensi, per esempio, all’elevato numero dei candidati consiglieri comunali a Cosenza nel 2016, circa 1.000 per 32 posti, collocati all’interno di moltissime liste civiche, in una città di circa 66.000 abitanti. Fenomeni analoghi sono stati registrati nelle recenti elezioni municipali in diversi centri del Mezzogiorno. Siamo di fronte a un chiaro segnale della voglia di partecipazione e di nuova rappresentanza, ma è legittimo chiedersi se, dietro questo boom delle candidature, non si celino pure forme inedite di costruzione e di raccolta clientelare del consenso.
Considerata la persistente dipendenza di ampie fasce della società meridionale dall’intervento pubblico, è allora lecito supporre che, nel calderone del civismo, faccia capolino il calcolo particolaristico di patroni e clienti. Questi ultimi oggi, diversamente da ieri, sono candidati in prima persona per aumentare l’impegno diretto allo scopo di portare voti, tanto più preziosi perché meno numerosi in tempi di astensionismo, e coltivano la speranza di trarne vantaggi personali, magari acquisendo una carica politica locale e uno stipendio e diventando così dei micronotabili. I capi clientelari, invece, si mostrano sempre più disinvolti, si muovono dichiaratamente in modo trasversale e a tutto campo, legittimati nei loro cambi di casacca politica dalla convinzione diffusa che li vede come datori di lavoro prim’ancora che come rappresentanti, e per questo motivo ne giustifica ogni comportamento, anche il più discutibile.
In questo quadro generale, tra l’altro, non è infondato pensare che il successo delle formazioni politiche che stanno raccogliendo consensi sulla base della protesta possa contenere non solo la richiesta di pulizia e di rinnovamento della classe politica, ma pure la domanda di nuove forme di protezione assistenziale, cioè di nuovi patroni.
Il secondo argomento utilizzato da Callipo riguarda la capacità di ben amministrare mostrata dal sindaco di Cosenza. Abbiamo osservato che l’uno e l’altro hanno al loro attivo alcuni risultati positivi, mentre permangono enormi problemi urbani. Ma il punto chiave è un altro: il buongoverno riguarda anche (forse bisognerebbe dire innanzitutto) le modalità dell’azione amministrativa e l’etica politica – per giunta in una regione martoriata dalla corruzione e dal malaffare – oppure no, in quanto il raggiungimento di alcuni risultati concreti e l’elevato grado di consenso rendono questa domanda irrilevante?
La questione è di fondamentale importanza. Infatti, Catauna recente sentenza di primo grado del Tribunale civile di Cosenza ha stabilito che l’amministrazione comunale da lui diretta, nonostante il pignoramento già disposto, per diversi anni ha “ingiustamente versato a Mario Occhiuto lo stipendio da sindaco di Cosenza (tecnicamente indennità di funzione) invece di accantonarlo in modo di sanare i suoi debiti personali, non pochi spicci ma quasi due milioni di euro… ciò significa che, se la sentenza diventerà definitiva e il sindaco non potrà saldare il debito, l’onere del pagamento ricadrà sul Comune e quindi sui cittadini” ("Corriere della Sera", 1.3.2018). Ovviamente qui non interessa l’aspetto giudiziario, ma l’aspetto amministrativo-contabile (perché il Comune non ha proceduto al pignoramento del suo stipendio? Quale o quali dipendenti degli uffici, che a lui come sindaco rispondevano, si sono resi responsabili di questa grave mancanza?) e l’aspetto collegato all’etica pubblica.
Proviamo a interrogarci: indipendentemente dall’esito giudiziario della vicenda e fatto salvo il necessario garantismo, un individuo che ha accumulato ingenti debiti nei confronti dello Stato e di creditori privati e non li ha onorati ha i titoli morali per governare la cosa pubblica, vale a dire i beni di tutti? Il fallimento di una qualunque attività economica non comporta necessariamente una condanna morale, ma rappresenta indiscutibilmente un grave insuccesso, aggravato dal danno ingente arrecato a molti altri. Di conseguenza: ha senso affidare le casse comunali a chi non è riuscito a gestire la propria? E se tra i suoi creditori ci fossero dei cittadini che è chiamato ad amministrare in qualità di sindaco, oppure delle aziende intenzionate a gareggiare per un appalto comunale, come garantire l’onestà e l’imparzialità della pubblica amministrazione, nell’interesse di tutti e anche della onorabilità dello stesso sindaco? Non basta tutto ciò a delineare un quadro di incompatibilità morale rispetto al ruolo ricoperto? Più in generale, non emerge in questo modo un evidente conflitto di interesse per un qualunque amministratore pubblico che si venisse a trovare, in veste di privato imprenditore, in una situazione analoga?
Chissà se il sindaco di Pizzo Calabro, nel suo endorsement a favore del primo cittadino di Cosenza, ha dedicato qualche minuto a riflessioni di questo genere. A volte, vien da pensare, dietro casi locali si nascondono grandi questioni nazionali, ossia: c’è ancora posto per domande etiche, di contenuto e forma non manichei, nella vita politica e civile del nostro Paese?
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