Da qualche tempo il concetto di gentrification è entrato nel dibattito e nel lessico italiani, dopo diversi anni di diffusione nell’esoterico dibattito tra specialisti. Alcuni autori sostengono che vi sia una ragione storica e geografica ben precisa alla base di questo ritardo: il fatto che la realtà urbana italiana mal si integri con un fenomeno che, non a caso, è emerso nel mondo anglosassone e proprio in questo mondo di mondi, che vagamente chiamiamo ora anche Global North, si sia diffuso e abbia sviluppato alcune sue peculiarità.
Se provassimo a riassumere in poche parole cosa intendiamo per gentrification oggi, il rimando tutto sommato più valido sarebbe anche quello più ambiguo e ricondurrebbe alla definizione di Hackworth, secondo cui si tratterebbe della «produzione dello spazio urbano per utenti progressivamente più ricchi» (Postrecession gentrification in New York City, «Urban Affairs Review», 37, 6/2002, p. 815).
Diversamente dunque da altre definizioni più stringenti, che di volta in volta puntano il dito sui mercati immobiliari e la loro rilevanza all’interno del capitalismo finanziario globale, sulle sostituzioni di popolazioni vulnerabili da parte di diverse sezioni del ceto medio, sulle epidemie di sfratti o sulla riconquista classista della città, con questa definizione si racconta una dinamica storica che fa parte di un ciclo ben noto. Si tratta infatti di un’evoluzione, che potrebbe essere anche lineare per quel che ne sappiamo, che ha portato le città prima di tutto occidentali a uno sviluppo industriale dapprima, seguito dalle deindustrializzazioni poi, per giungere infine alla condizione attuale di post-. A seconda dei contesti geografici, storici e delle peculiarità urbane, moltissime città vengono descritte in maniera sensata con questa tripartizione e la gentrification ne racconta bene sia la seconda sia la terza fase. L’abbandono di molte aree della città fordista è infatti stato una strategia che ha generato larghe sacche di abbandono e crisi che, a loro volta, si sono rivelate straordinarie opportunità di investimento e rigenerazione nei decenni successivi, innescando quella forma di arricchimento urbano nota anche, appunto, come gentrification. O così almeno pensa la gran parte degli studiosi di questo fenomeno.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 3/17, pp. 395-401, è acquistabile qui]
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