Un Sinodo per il Medio Oriente. L’esergo è una citazione degli atti degli Apostoli: «la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32); l’oggetto sarà una riflessione «sulla comunione e sulla testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare nel particolare contesto mediorientale», così come recita l’Osservatore romano; l’ambito sarà l’assemblea dei Vescovi, a Roma; i tempi quelli dell’autunno del prossimo anno.
Benedetto XVI ha convocato il Sinodo per il Medio Oriente dal 10 al 24 ottobre del 2010, annunciandolo a Castelgandolfo già a fine dello scorso settembre, nel mentre riceveva i patriarchi e gli arcivescovi di quelle terre tormentate. La notizia non ha colto di sorpresa gli osservatori, né tanto meno gli uomini della Chiesa. Da tempo, semmai, i presuli delle diocesi mediorientali avevano sollecitato un incontro in Vaticano che permettesse di discutere in maniera non occasionale - quindi approfondita - dei problemi che concernono la vita dell’istituzione in luoghi così difficili. Non di meno, si pensava ad una assise nel medesimo tempo aperta quel tanto che può bastare a comunicare le proprie volontà erga omnes ma anche chiusa nella misura in cui fossero i diretti protagonisti ad esprimersi nel merito delle opportunità, come dei vincoli, che il composito quadro mediorientale presenta oggi per la cristianità. Da ciò la decisione papale.
Il Sinodo dei Vescovi è un'istituzione permanente del Collegio episcopale della Chiesa. Fu Paolo VI a istituirlo, il 15 settembre 1965, in risposta a quanti sollecitavano il rinnovamento e la diffusione dello spirito riformista emerso durante il Concilio Vaticano II. Di fatto esso si articola in una serie di assemblee, dal carattere temporaneo - poiché racchiuse in un preciso arco di tempo e con una tema predominante - dei rappresentanti dell'episcopato cattolico, che hanno il compito di aiutare con i loro consigli il Papa nel governo della Chiesa universale. La Santa Sede, a tale riguardo, lo definisce come «un luogo per lo scambio di informazioni ed esperienze, per la comune ricerca di soluzioni pastorali valide universalmente». Come tutte le istituzioni vaticane, poiché macchina complessa, è regolamentato da appositi articoli del Codice di diritto canonico. L'ultimo Sinodo si è tenuto in Vaticano nell'ottobre 2008 con il tema «La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Il repertorio della discussione odierna non è ancora stato ufficializzato – per sapere nello specifico quali siano i temi bisognerà attendere la pubblicazione del testo dei Lineamenta, che costituiscono, insieme all’Instrumentum laboris, la piattaforma dei contenuti e dei metodi da applicare alla specifica sessione sinodale – ma già alcune parole chiave circolano tra gli addetti ai lavori: il dialogo interreligioso e lo scambio con gli altri monoteismi; l’ecumenismo nei rapporti, a volte conflittuali, con le diverse fedi in Medio Oriente; il cammino della «riconciliazione», facendo ideale seguito al viaggio compiuto nel maggio di quest’anno da Benedetto XVI in «Terra santa», ossia in Israele e nei Territori palestinesi, così come nella vicina Giordania. E proprio da quest’ultimo bisogna partire per cogliere l’urgenza, ai limiti dell’inderogabilità, di una assemblea sinodale. Si tratta, in realtà, di un progetto ambizioso quello che Joseph Ratzinger vorrebbe licenziare nel nome della «comunione» e della «testimonianza». Da una parte ci sono le comunità cristiane – e segnatamente quelle cattoliche – che da tempo vivono la condizione di minoranze assediate; dall’altra c’è la non meno pressante esigenza di rendere più dinamico e attivo il ruolo della Santa Sede, dinanzi all’esaurimento della politica aggressiva di Bush e alla novità costruita da Barack Obama.
Quel che da tempo preoccupa il Vaticano è la lenta ma costante emorragia nella presenza cristiana in quelle terre. Se si fa eccezione per il Libano, dove il 23,8% della popolazione è cattolica (i cristiani sono complessivamente 1 milione e mezzo), le percentuali degli altri paesi sono esigue, arrivando a non superare l’1%. L’emigrazione ha comportato il depauperamento degli insediamenti comunitari, al punto che le circoscrizioni ecclesiali di rito orientale si sono moltiplicate. Il cattolicesimo paga qui un pegno pesante alla crisi della timida secolarizzazione e alla reviviscenza dell’islamismo. Il Sinodo, quindi, verterà su quattro punti: la crescita del fondamentalismo musulmano e gli strumenti per arginarlo; le peculiarità del dialogo tra cristiani e musulmani; il ruolo dei patriarchi cattolici orientali; l’organizzazione ecclesiastica in Kuwait e nei Paesi del Golfo. All’appello si presenteranno sette patriarcati e sei riti (latino, antiocheo, alessandrino, bizantino, armeno e caldeo) poiché da Beirut al Cairo, da Bagdad a Dubai le comunità, pur mantenendo l’unione con Roma, hanno diversi modi di pregare e ritualità distinte, risultato del percorso storico locale. Cosa ne deriverà? Ovviamente è presto per pronunciarsi. Sta di fatto, che le attese sono molte, dinanzi a una Chiesa che, nel suo ruolo di testimone universale, deve confrontarsi con una età di malesseri e timori più che di speranze.
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