Oltre la marginalità italiana. Pur rientrando in prassi procedurali consolidate, la visita del presidente del Consiglio Mario Monti in Vaticano, per un incontro con Benedetto XVI e con i rappresentanti della Segreteria di Stato, ha alcuni tratti di specifica singolarità. Quella dei tempi e quella dei modi. Dopo solo due mesi dall'insediamento del suo governo, Monti è stato ricevuto dal papa. L'accelerazione della tempistica è stata dettata sicuramente anche dalla situazione di straordinaria emergenza che vive il Paese e dalla criticità della condizione in cui versa il progetto europeo; ma non solo. Infatti, entrambe le parti avevano interesse alla formalizzazione esplicita dei rapporti; probabilmente più la Santa Sede del governo italiano. La preoccupazione di Monti di tornare a inserire credibilmente l'Italia nel quadro dei tessuti diplomatici europei mostra la sua convinzione che le sorti del Paese eccedono ormai sia i margini territoriali della nazione, sia gli usi abituali della politica italiana. In Vaticano Monti, a differenza di molti suoi predecessori, non è andato a cercare una legittimazione, o quanto meno un patto di non belligeranza, per garantirsi spazi di movimento di piccolo cabotaggio per un'agenda interna caratterizzata da interessi corporativi. Le menti più fini del Vaticano devono aver colto l'assenza di un'intenzione di strumentalizzazione, da parte di Monti, nella ricerca di un'interlocuzione con la Chiesa cattolica. A questo si aggiunge la preoccupazione personale del papa per la percezione che si ha dell'operato della Santa Sede rispetto alle vicende italiane, soprattutto in Germania.
L'irritazione della cancelliera Merkel, espressa in occasione del viaggio in Germania di settembre, per la promiscuità e contiguità della Segreteria di Stato vaticana con il governo Berlusconi ha lasciato un segno profondo nella sensibilità tedesca di papa Ratzinger. La gestione dei rapporti politici italiani rendeva inguardabile la posizione della Chiesa cattolica sullo scenario europeo. Le conseguenze ecclesiali di quel viaggio sono state pressoché immediate, rafforzando la posizione del cardinal Bagnasco, e con lui quella della Conferenza episcopale italiana di cui è presidente, che si era pian piano, e con cautela, smarcata dagli atteggiamenti politici di Berlusconi facendo sponda su quelli personali. Ribaltando così nel corso di pochi giorni la rete costruita dal Segretario di Stato, cardinal Bertone, per avocare in toto alla Santa Sede l'Italia come questione politica - lasciando ai vescovi la semplice gestione di una pastorale che non avesse ricadute culturali e civili sulla vita del Paese. L'urgenza con cui Benedetto XVI ha chiesto a Monti ragguagli sulla sua visita a Berlino dalla Merkel è indice dell'inquietudine del papa verso l'apprezzamento della sua nazione di origine - la battuta con cui Monti ha risposto, «atmosfera buona» nonostante le intemperie congiunturali, ha introdotto una cordialità dei toni che potrebbe andare al di là della semplice stima reciproca.
Il Vaticano è una macchina complessa, ben oltre ogni burocrazia degli Stati moderni. La commistione dei generi del potere, spirituale e temporale, lo rende camaleontico. A questa ambivalenza di fondo si aggiungono le tensioni che scuotono il corpo della Chiesa, con una conflittualità intestina che va frastagliando sempre di più al suo interno la compagine conservatrice. La lentezza con cui l'apparato vaticano reagisce all'accelerazione dei fenomeni civili, economici, culturali sta raggiungendo un punto di criticità; il tempo per ripensare efficacemente la forma statuale della Santa Sede si è fatto davvero breve. Sicuramente sono emerse tendenze inedite, di cui il papa sembra avere una qualche consapevolezza. L'Europa guarda all'Italia oramai anche come metro di giudizio per valutare la sapienza e il discernimento politico del Vaticano nel suo complesso. Il riconoscimento che Ratzinger, nel corso del suo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha espresso per la forma dei rapporti Stato-Chiesa in Italia diventa al tempo stesso una misura per la capacità della Chiesa cattolica di interagire nella sfera delle relazioni internazionali. Il caso italiano ha fatto diventare infatti la posizione del Vaticano una questione politica per l'Europa. Ne potrebbe risultare un processo virtuoso per lo stesso progetto europeo, che palesa sempre più l'insufficienza del suo attestarsi solo a livello di procedure formali ed economiche. La necessità di nuove regole per il governo di una finanza che ha fatto della deregulation la sua legge sacra, richiamata più volte negli ultimi interventi di Benedetto XVI, non può realizzarsi senza la creazione di nuove soggettualità politiche a cui ascrivere una potestas che vada oltre i confini desueti degli Stati-nazione. Di questo Monti non è solo consapevole, ma persuaso. Eppure, oggi, neanche queste regole sarebbero sufficienti senza il prodursi di un comune sentire europeo, cui devono collaborare tutte le istituzioni maggiori presenti sulla scena del nostro continente. Anche quelle ecclesiali del cristianesimo. L'imprescindibilità di questo snodo culturale per il futuro dell'Europa è stato toccato più volte da Monti in questi due mesi di governo.
L'incontro con Benedetto XVI ha rappresentato anche l'occasione per sondare quanto il suo eurocentrismo, intorno al quale egli va modellando la presenza globale della Chiesa cattolica, possa trasformarsi in un moderato europeismo - quanto meno in nome della via senza ritorno davanti alla quale si trova ora il nostro continente. Sia Monti sia il papa si caratterizzano per una concentrazione sull'Europa, ma con questo medesimo nome essi si riferiscono a due realtà diverse. In questa discrepanza vi è però un punto di contatto che affianca, seppur drammaticamente, le visioni del presidente del Consiglio e del papa: la fine dell'idea di Europa che ha in mente Monti rappresenterebbe l'estenuazione definitiva della centratura europeista del cattolicesimo che sta a cuore a Ratzinger. Pur spinti da ragioni e obiettivi in parte diversi tra loro, potrebbe nascerne una dialettica propositiva, di cui la Chiesa cattolica ha bisogno per dare forma al suo interno a un vero e proprio spirito europeo. Spirito, questo, che potrebbe fare anche da sponda per una riconfigurazione della sua presenza spirituale e mondana dopo la fine dell'idea moderna di Stato-nazione, allontanandola dalla tentazione di prestare il fianco all'attrazione esercitata dal rimontare populistico di particolarismi nazionalistici - rispetto ai quali la Chiesa cattolica non ha oggi la forza di essere immune.
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