La megalopoli azteca. Come definire Città del Messico? Città, metropoli, megalopoli, conurbazione? La domanda può sembrare retorica, ma non lo è. La capitale del Messico, divisa al suo interno in 16 delegaciones (distretti amministrativi) e circa 1800 colonias (quartieri), si estende su un’area che oltrepassa il Distrito Federal per estendersi su due Stati della federazione messicana. Lo sviluppo urbanistico di Città del Messico rappresenta ancora oggi un caso a sé. La città, che agli inizi del Novecento era abitata da circa 350.000 persone, oggi ha difficoltà a contare i propri abitanti, giunti ormai a quota 25 milioni (in pratica, un messicano su cinque ci vive). Una città che è al tempo stesso la negazione di città: seconda al mondo dopo Tokyo, sembra una specie di postuma vendetta urbana di Montezuma. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, a seguito del milagro mexicano, la città raddoppia, divenendo, da quel momento in poi, una massa informe di cemento in costante crescita.
Il terremoto del 1985, l’inquinamento atmosferico e la crisi economica del 1994 hanno rallentato ma mai messo in discussione seriamente il modello di sviluppo; ormai è diventata una specie di blob che fagocita tutto ciò che la circonda. Alle spalle della crescita della metropoli, un modello economico ormai messo nel dimenticatoio da molto tempo (una volta lo chiamavano “sostituzione delle importazioni”) e un modello politico basato sul governo di un partito solo: la dictadura perfecta, nelle parole di Mario Vargas Llosa. Tutto ciò oggi sembra essere definitivamente alle spalle. Città del Messico però continua nella sua inarrestabile espansione. Una specie di monstruo geografico che si riflette anche nella sfera politica. Gli abitanti della capitale, che, anomalia nell’anomalia, è difficile anche definire - si chiamano defeños, capitalinos, chilangos - sono liberi di scegliere i loro rappresentanti solo dal 1997. Altro milagro della transizione politica. La vera anomalia sta nel fatto che mentre a livello federale il PAN diventava il partito di governo e si presentava come vincitore nel 2000 e nel 2006, nella capitale vinceva e continua a vincere, il PRD, con Andrés Manuel López Obrador prima e con Marcelo Ebrard poi. Con inevitabili frizioni e contrasti tra i due livelli di governo.
Il Messico e la sua capitale si preparano alle prossime elezioni del 2012. Negli ultimi dieci anni sono state costruite importanti infrastrutture: dal raddoppio sopraelevato del anillo periférico, una sorte di mega-raccordo anulare, all’ampliamento della metropolitana. Continua anche a crescere la città, i cui grattacieli ormai non si contano più. Nessuno è in grado di vedere dove inizia e dove finisce. All’orizzonte, per lo meno quello politico, non si vede neanche nessuna idea, per quanto timida, sul cosa fare di una città tanto grande. Nessuno più oggi si pone la domanda «cosa farsene di Città del Messico?» in cambio tutti si chiedono «cosa fare a Città del Messico?». Sussistono divergenze, soprattutto in campagna elettorale, ma poi nella realtà l’unica cosa che si può constatare è che la città, ormai divenuta una non-città, continua a crescere a dismisura, ponendo la questione urbana, o meglio, la questione post-urbana, intesa come degenerazione della prima, ormai fuori dall’orbita del controllo politico. La verità è che nessun governo e, meno che mai, nessun partito al governo, è in grado, nelle condizioni attuali, di avere una politica coerente sulla capitale. Nel 2002, l’allora responsabile della sicurezza e attuale sindaco Marcelo Ebrard, per dare una risposta al tema dell’insicurezza e della violenza, aveva arruolato, con una azzeccata campagna pubblicitaria, l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani. Una buona trovata di marketing politico, ma poco efficace in pratica visto che, due anni dopo, lo stesso Ebrard fu costretto alle dimissioni per via di un linciaggio di tre poliziotti nella periferia della città. Il futuro di Città del Messico è difficile da immaginare. Un po’ meno difficile invece è immaginare l’affanno, dovuto non solo all’altitudine e all’inquinamento, in vista delle prossime elezioni federali e locali.
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