Cronaca di una morte annunciata. Da qualche giorno su YouTube circola un video drammatico che sta scuotendo il Messico. Dura una manciata di secondi. Si vede un uomo, a viso scoperto, che scende da un’automobile bianca, si avvicina al marciapiede. Poi si intravede una donna, Marisela Escobedo Ortiz, che attraversa la strada nel vano tentativo di scappare. L’uomo la segue, la raggiunge e spara colpendola alla testa. Negli ultimi secondi la telecamera si sofferma sul corpo disteso sul marciapiede, mentre l’uomo con passo spedito riattraversa la strada, risale sull’auto per poi dileguarsi nel traffico cittadino. Siamo a Chihuahua, capitale dell’omonimo stato, considerato il più violento dell’intero Messico, di fronte al Palacio de Gobierno, sede della massima autorità politica. Sono passati tre minuti dalle otto di sera e l’entrata del palazzo è stata da poco chiusa dall’interno. Di fronte, dall’altro lato della strada, un presidio di protesta, con lenzuola e cartelli. È lì che ormai da mesi aveva fissato il proprio improvvisato quartier generale la coraggiosa Marisela. Lei, peraltro, in quel palazzo era praticamente conosciuta da tutti, dagli uscieri al governatore César Duarte, che, dopo aver autorizzato la diffusione del video, si è affrettato a dichiarare l’impegno delle autorità per la cattura dei responsabili dell’atroce omicidio.
Marisela era considerata, nella precaria geografia dei diritti umani in Messico, un’attivista. La sua storia, nonostante l’eco mediatica, è, nella sua tragicità, una normale storia messicana. Due anni fa l’ex fidanzato della figlia sedicenne di Marisela, un balordo vicino a clan criminali, l’ha uccisa, ne ha bruciato il corpo e lo ha gettato in una discarica di Ciudad Juárez, già tristemente famosa per essersi aggiudicata il primato di città più pericolosa del mondo (nel 2009 si sono registrati 2500 omicidi, in gran parte di donne). Questa volta però la polizia ha catturato il colpevole, che ha confessato e accompagnato gli inquirenti sul luogo del delitto, salvo poi ritrattare tutto e venire clamorosamente assolto. Dal giorno della sentenza Marisela non ha trovato pace. Ha iniziato una personale via crucis fatta di avvocati, ricorsi, meeting, presìdi e incontri con politici. La determinazione di Marisela spinge il tribunale di Chihuahua a riaprire il caso e a condannare l’ex fidanzato, che però nel frattempo si era dato alla latitanza. «Madre coraggio» non si è arresa e ha avviato privatamente indagini, passando alla polizia le informazioni di cui è progressivamente entrata in possesso, ricevendo però pesanti intimidazioni. A partire da fine novembre le minacce erano aumentate, tanto che Marisela aveva annunciato in un’intervista televisiva: «Se vogliono uccidermi sappiano che io non vado a nascondermi. Devono farlo qui di fronte. Sarà una vergogna per il governo».
Il video mostra una scena di inaudita quanto annunciata violenza. Mette a nudo l’operato delle forze di polizia e dello stesso governo statale. Tre minuti dopo le otto di sera, in pieno centro, di fronte al Palacio de Gobierno e agli uffici giudiziari, non c’era neanche una pattuglia della polizia. Marisela è stata fermata. È stata uccisa sul marciapiede davanti all’ingresso principale, ormai chiuso, della massima istituzione statale. Pochi istanti prima stava posizionando l’ennesimo lenzuolo. Sulla tela, con uno spray nero, aveva scritto “Giustizia: privilegio del governatore. E per mia figlia quando?” Si riferiva al fatto che l’autore dell’omicidio di un cugino del governatore è stato arrestato a quattro mesi dal delitto, venendo condannato dopo un processo lampo durato appena una settimana.
Riproduzione riservata