Que viva Mexico! Il 20 novembre ricorre il centenario dell’inizio della Rivoluzione messicana, che pose fine alla dittatura di Porfirio Diaz e si concluse nel 1917 con la promulgazione della nuova costituzione. Per sette anni il Messico venne attraversato da un’ondata di violenza tale da rimanere impressa a lungo nell’immaginario collettivo, ben al di là dei suoi stessi confini,a tal punto che, riferendosi ai fatti di Piazzale Loreto, Ferruccio Parri usò l’espressione “macelleria messicana”. Un milione di morti, diversi eserciti che si spostano e combattono in lungo e in largo per il paese. Nomi che diverranno leggendari, anche grazie alla nascente industria di Hollywood, quali Emiliano Zapata e Pancho Villa. Ma anche una Costituzione sancì finalmente (prima al mondo) il riconoscimento dei diritti sociali e ai lavoratori. Tutto ciò appartiene al passato, ma ancora oggi la Revolución fa parlare si sé. A maggior ragione in Messico, dove nel 2010 cadono due ricorrenze importanti: il bicentenario dell’indipendenza e il centenario della Rivoluzione. Mentre per il bicentenario i festeggiamenti e gli eventi sono stati all’altezza delle aspettative, lo stesso non può dirsi per le celebrazioni dello scoppio della Rivoluzione che, per le inevitabili implicazioni politiche e culturali,  rischia di essere un appuntamento più controverso.

In alcuni punti della capitale sono apparsi, ormai da tempo, grandi contatori che indicano i giorni che mancano all’evento. Il 20 novembre, in tutte le città messicane sono previste mostre, manifestazioni, discorsi e parate. Il cuore dei festeggiamenti sarà, ancora una volta, la grande piazza centrale della capitale, lo zócalo. Quella notte si terranno spettacoli multimediali con luci e suoni, proiezioni sulle facciate del Palacio Nacional e della cattedrale. Una notte di festa in linea con quanto già avvenuto, sempre nella stessa piazza, il 15 settembre scorso, quando al centro dei festeggiamenti c’era il bicentenario dell’indipendenza. Per l’occasione la città è stata letteralmente tappezzata di manifesti e coreografie che ricordano gli eroi della Rivoluzione. Per gli ambulanti è l’occasione di ampliare il loro già variegato catalogo di souvenir rivoluzionari. Sul periferico - enorme - raccordo che costeggia la capitale, sono apparsi cartelloni giganti che pubblicizzano il volto di Zapata o di Villa alla stregua di una marca di dentifrici. Miracoli della comunicazione.

Sui principali giornali nazionali, in prima fila “Reforma”, ma anche “La Jornada” e “El Universal” il dibattito si concentra tra la commemorazione del passato, lo sguardo al futuro e la paura del presente. Il timore è che l’attualità di un’altra macelleria messicana, quella inesorabile del narcotraffico possa, in qualche modo, condizionare gli stessi festeggiamenti. Il timore è che l’anniversario possa trasformarsi nell’occasione per regolamenti di conti o spargimenti di sangue. C’è un consiglio che i giornali suggeriscono, chi ad alta voce, chi in maniera meno esplicita: “Se potete non andate in piazza. Vedetevi la parata e le manifestazioni comodamente seduti davanti alla televisione”. Ma al di là dei timori contingenti il dato più profondo è che il rapporto tra memoria e rivoluzione nel Messico di oggi, è ancora piuttosto controverso. Ben distante, solo per fare un esempio, con quello che è successo in Russia nel 1991. Nessuno si sognerebbe  di cambiare la toponomastica delle città: Madero, Villa, Zapata e tutti gli altri rimangono lì dove sono. Con l’unica differenza che più che “celebrare” i messicani sono convinti della necessità di reinventarsi non tanto un passato, quanto un’idea di nazione rivolta al futuro, con un occhio al presente che li lascia un po’ smarriti.