Ritorno al passato? Nell´anno del 150° anniversario della battaglia di Puebla – «el cinco de mayo» dell´orgoglio nazionale, che celebra una vittoria contro le truppe di Napoleone III – i messicani sono tornati alle urne per eleggere il successore di Felipe Calderón del Partido de acción nacional (Pan), di centro-destra.
I risultati provvisori del voto del primo luglio, diffusi dall´Instituto federal electoral (Ife), assegnavano il 38,15% a Enrique Peña Nieto del Partido de la revolución institucional (Pri), il 31,64% al candidato di sinistra, Andrés Manuel López Obrador del Partido de la revolución democrática (Prd), il 25,40% a Josefina Vásquez Mota del Pan e il 2,30% a Gabriel Cuadri di Nueva Alianza.
Esito per il momento provvisorio, perché López Obrador, detto Amlo, ha denunciato brogli e compravendita di voti. Il primo riconteggio delle schede non ha però modificato l´esito del voto. Teoricamente l´Ife ha ancora tempo fino al 6 settembre per annunciare il vincitore definitivo, ma è improbabile che si ripeta il clima di incertezza del 2006. Allora, per quasi due mesi, il verdetto restò in sospeso, fino a quando la vittoria venne assegnata a Calderón su Amlo per appena 243.000 voti (lo 0,58%).
In attesa della conferma e dell´assegnazione dei seggi al Congresso, è intanto emersa una mappa emblematica del voto per le presidenziali: il Pri, che si è imposto in venti Stati (in tutto sono trentuno, più il Distrito Federal, Città del Messico), domina tutto il Nord e il centro della Federazione (dove la candidata del Pan ha vinto in tre sole entità: Nuevo León, Tamaulipas e Guanajuato). Viceversa, la coalizione di sinistra ha trionfato in nove Stati del sud (eccetto Yucatán e Campeche). Una fotografia solo parzialmente rispettata laddove si votava anche per il governatore, dal momento che il Pri ha conservato Stati meridionali quali Chiapas e Yucatán e strappato al Pan (vittorioso solo a Guanajuato) il centrale Jalisco, perdendo però un suo storico bastione, il Tabasco, andato al Prd, così come il Morelos e il Distrito federal.
La vittoria di Peña Nieto segna quindi, a prima vista, un ritorno al passato, la revanche di quel sistema priista che per quasi settant´anni aveva dominato la politica messicana e che molti pensavano di aver sconfitto con l´avvento di due presidenti del Pan, Vicente Fox (2000-2006) e Calderón (2006-2012). In realtà, la situazione è più complessa, in primo luogo perché il Pri, pur giunto terzo nel 2006, non era mai scomparso e aveva manifestato una capacità di tenuta, organizzando il proprio rilancio proprio da quelle periferie con cui da sempre Città del Messico è costretta a confrontarsi. Non è certo un caso, quindi, che l´ascesa del quarantacinquenne Peña Nieto, sia stata preparata dalla provincia: da quando conquistò (2005) la carica di governatore dell´Estado de México, storico e inattaccabile feudo del Pri.
Inoltre, va tenuto presente uno sfondo importante, ossia l´eredità lasciata da dodici anni di governo del Pan, inaugurati nell´entusiasmo generale e chiusi tra dubbi e incertezze. Se ci limitiamo all´ultimo mandato, il Messico ci ha offerto un´immagine estrema e simbolica dei dualismi che solcano questa nostra strana stagione storica. Da un lato, il Paese, la seconda economia latinoamericana, ha rafforzato la sua immagine di rappresentante dell´America del Nord (fascia in cui è inserito nelle tabelle stilate dalla World Bank), è un membro dinamico del Nafta, una potenza emergente in seno ai G20 (di cui ha appena ospitato l´ultimo vertice, tra i resort di lusso di Los Cabos) e un Paese dagli indici macroeconomici solidi (nel 2010 la crescita del Pil è stata del 5,5% e nel 2011 del 4,1%), che investe in ricerca e attira capitali stranieri. Dall´altro, la faccia oscura del processo di modernizzazione è connessa alla crescente polarizzazione della ricchezza, agli alti indici di povertà, alla difficile gestione dei flussi migratori, agli scarsi diritti delle lavoratrici delle maquilas e e all´escalation di violenza legata al narcotraffico che ha aumentato insicurezza, impunità e corruzione. Secondo Amnesty international, solo nel 2011 le vittime del narcotraffico sarebbero state quasi 12.000, concentrate lungo la línea con gli Usa e nelle aree strategiche del Pacifico e dell´Atlantico.
Proprio il tema della violenza si è rivelato un fantasma che ha inciso come non mai sulla campagna elettorale, consolidando le posizioni di chi accusava il fallimento della guerra al narco e la strategia di mobilitazione dell´esercito voluta da Calderón, silenziosamente ispirata a quel Plan Mérida che a molti ricordava echi del Plan Colombia. Il Pri ha così avuto gioco facile nel presentarsi come il garante della stabilizzazione, muovendosi tra le promesse liberiste e tecnocratiche del nuovo corso, intrapreso da Salinas de Gortari a partire dalla fine degli anni Ottanta, e le suggestioni di quella che molti considerarono la «dittatura perfetta» in America latina: basata su un partito-Stato originalmente socialisteggiante ma non ideologico, all´occorrenza autoritario ma mai militarista, burocratico e clientelare ma anche benefattore e incorporativo; un modello capace, per lungo tempo, di rilegittimarsi su quel mito della rivoluzione ininterrotta, che aveva ispirato il suo fondatore, Plutarco Elias Calles, al finale dei turbolenti anni Venti.
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