Se il governo tra Movimento 5 Stelle e Lega vedrà la luce, e al momento non è affatto certo, sarà il primo in un Paese fondatore dell’Ue composto esclusivamente da forze populiste. Quali sono le chance che un simile governo possa avere successo, consolidando sia la propria presa sull’elettorato sia traducendo in pratica le generose promesse avanzate in campagna elettorale?

Uno dei due partner della coalizione populista, il Movimento 5 Stelle, si presenta come esplicitamente post-ideologico. Se, come più volte sostenuto dai suoi leader, questo movimento è “né di destra né di sinistra”, quanto la sua natura post-ideologica sarà un vantaggio e quanto, invece, rappresenterà un elemento di frizione e di intrinseca tensione nel rapporto con l’altro partner di coalizione, risolutamente ideologico nelle sue propensioni? Gli orientamenti dell’elettorato dei due partiti (e per comparazione del Pd) su una serie di aree di policy può aiutarci a capire se e in che misura i leader del M5S si troveranno a dover fronteggiare una base entusiasta o scettica, favorevole o contraria, alle posizioni che ciascun partito, nell’ambito del gioco di coalizione, si troverà ad assumere.

Vale tuttavia la pena chiedersi, innanzitutto, se è vero che l’elettorato del M5S è così marcatamente post-ideologico. Per farlo, abbiamo un’ottima opportunità di osservarlo nel tempo, rappresentata dalle indagini Swg del periodo settembre 2017-aprile 2018. La figura 1, la figura 2 e la figura 3 illustrano somiglianze e differenze nella distribuzione degli orientamenti ideologici lungo l’asse sinistra-destra dei tre principali attori di questa ultima fase post-elettorale.

Da queste tre figure emerge una diversità di fondo tra la composizione dell’elettorato del M5S, da un lato, e quello del Pd e della Lega, dall’altro. Usando l’analogia dolciaria del titolo, mentre Lega e Pd sono torte prevalentemente mono-strato, l’elettorato pentastellato compone chiaramente una millefoglie. Questo si caratterizza infatti per due aspetti importanti e distintivi. Da una parte, una quota molto rilevante di elettori sceglie di non collocarsi lungo il continuum, gli “azionisti di maggioranza” di questo partito con percentuali oscillanti tra il 30% e il 47%. Dall’altra, la distribuzione sull’asse sinistra-destra del M5S è particolarmente frammentata. Gli elettori collocati nel centrosinistra sono la seconda categoria più rappresentata, ma raramente superano la somma degli elettori di centro e centrodestra. Lega e Pd mostrano invece una distribuzione più prevedibile, con prevalenze schiaccianti per il posizionamento più vicino a quello del partito e numeri trascurabili per la categoria opposta. Inoltre, i non collocati sono molto meno numerosi che nel M5S, sebbene la Lega presenti una quota di questi elettori significativamente più alta rispetto al Pd.

Questa distribuzione ideologica dei pentastellati è un vero e proprio unicum nel panorama politico attuale e, se possibile, in quello della storia repubblicana. Perfino l’analogia, a volte usata dallo stesso Grillo, tra M5S e Democrazia cristiana in realtà non è appropriata. La Dc non era così trans-ideologica come i 5 Stelle, ma era un partito saldamente di centro. In una delle prime indagini demoscopiche disponibili (l’indagine Itanes del 1972), nella quale fu chiesto agli elettori intervistati di posizionarsi sull’asse sinistra-destra, ben quattro quinti degli elettori della Dc (e precisamente il 79%) si collocava al centro, il 15% a destra e non più del 6% a sinistra.

Con questo variegato profilo ideologico, che cosa unisce e che cosa invece divide l’elettorato grillino? Che cosa lo avvicina e che cosa lo distanzia dai potenziali partner di governo prefigurati in questa lunga fase di consultazioni? Per rispondere a queste domande, abbiamo ripartito l’elettorato del M5S in quattro gruppi (centrosinistra, centro, centrodestra e coloro che rifiutano di collocarsi), e li abbiamo comparati con l’insieme dell’elettorato del Pd e della Lega lungo una serie di issues.

Partiamo da due tra i temi più caldi dell’ultima campagna elettorale: reddito di cittadinanza e riforma Fornero. Sul primo tema, l’elettorato pentastellato si mostra estremamente compatto: in tutte le categorie la proposta supera abbondantemente il 70% di consensi; una spia, questa, dell’importanza cruciale del tema non solo per il successo elettorale del partito, ma anche come parametro con cui gli elettori pentastellati lo valuteranno come forza di governo. Sul tema, tuttavia, gli elettori grillini sono isolati: gli elettorati di Lega e Pd sono infatti largamente contrari all’introduzione di questo strumento, con percentuali molto simili tra di loro. Anche la riforma Fornero trova un’elevata omogeneità tra i grillini, con percentuali altissime a favore della sua abolizione. In questo caso, tuttavia, gli elettori pentastellati sono in sintonia con quelli della Lega, mentre è l’elettorato del Pd a dividersi tra favorevoli e contrari. Dal punto di vista dell’agenda di governo, quindi, mentre la riforma Fornero appare una fonte di unione, il reddito di cittadinanza non lo è (si veda figura 4).

Radicalmente opposta e più problematica è la situazione sull’immigrazione. Un esempio ci è fornito dalla domanda che, in certa misura, sintetizza l’apertura e il rigetto in termini economici e culturali dell’immigrazione nel suo complesso, ossia l’affermazione secondo la quale gli “immigrati sono una risorsa per il Paese”. Si dichiara d’accordo con essa il 70% dell’elettorato del Pd e una quota trascurabile – il 7% – di quello leghista. Le anime del M5S sono invece divise. I grillini di sinistra sono in maggioranza (51%) d’accordo nel considerare gli immigrati una risorsa, un dato che scende drammaticamente tra i grillini centristi e non collocati, per arrivare ad appena il 20% dei grillini di destra (si veda figura 5).

L’Europa è il secondo terreno minato all’interno dell’elettorato pentastellato, con una drammatica spaccatura sul tema della moneta unica (si veda figura 6). Il 54% degli elettori grillini di centrosinistra ha infatti “molta o abbastanza” fiducia nell’euro, mentre il 73% dei non collocati e il 70% di quelli destra ne ha “poca o nessuna.” I primi, pur se a maggioranza favorevoli all’euro, sono comunque distanti dall’85% di elettori Pd che credono nell’euro; i secondi sono invece molto vicini alla Lega (81% con poca o nessuna fiducia).

Questa breve analisi dell’elettorato grillino rivela quanto dura potrebbe essere la vita di un partito “post-ideologico” al governo, rispetto a un partner – la Lega – ideologicamente coeso intorno ad alcune essenziali parole chiave. Qualsiasi soluzione – con la parziale eccezione delle tematiche civili e del reddito di cittadinanza, sul quale però i 5 Stelle corrono isolati – scontenterà infatti una parte consistente del proprio elettorato. Uscire o meno dall’euro (o almeno farne un cavallo di battaglia), irrigidire o meno le maglie dell’immigrazione, dialogare o meno con l’Europa sono tematiche sulle quali l’elettorato grillino appare sostanzialmente diviso. Gestire questa complessità, se affatto possibile, è la reale sfida che la leadership grillina deve affrontare per il “governo del cambiamento”.

 

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