La nomina del governatore della Banca d’Italia è stata attribuita, dal 2005, al potere politico nel momento in cui è stata affidata ad un decreto del presidente della Repubblica, adottato su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Ciò non significa che quella nomina rientri fra le competenze di organi diversi da quelli cui è attribuito il potere di prendere parte al relativo procedimento. Non rientra neppure nei poteri del Parlamento, che non prende parte a quel procedimento e, men che meno, rientra nei poteri dei partiti. La presa di posizione del segretario del maggior partito di governo costituisce una indebita intrusione nelle competenze degli organi che partecipano al procedimento di nomina del governatore.

Il fatto che il governatore sia nominato da organi politici non attribuisce agli stessi organi e, a maggior ragione, a organi che non partecipano al procedimento di nomina, il potere di intervenire sull’esercizio della Vigilanza sulle banche da parte della Banca d’Italia, anche quale componente della Vigilanza comunitaria imperniata sul ruolo della Banca centrale europea.

Ma al di là della difficile sua conciliabilità con il meccanismo di nomina del governatore, la presa di posizione del segretario del Partito democratico solleva un gravissimo problema politico-istituzionale.

Sui mercati finanziari vigilano Autorità (Banca d’Italia, Ivass, Consob) che esercitano le proprie funzioni di vigilanza in modo autonomo nei confronti della politica; autonomia che dovrebbe impedire alle autorità politiche di intervenire nell’esercizio dei poteri di controllo delle autorità indipendenti.

Gli interventi del tipo di quello già ricordato è un modo che la politica adotta per recuperare il terreno perduto. Questo recupero si affida spesso alla nomina di persone sufficientemente “duttili”.

 

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