Lasciamo perdere Tony Blair, Massimo D’Alema e gli altri candidati a Presidente e Ministero degli Esteri (per due anni e mezzo) dell'Unione Europea, nomi fatti ruotare vorticosamente in queste ultime settimane per quel gioco delle indiscrezioni e dei retroscena che tanto piace ai media. Il senso delle nomine uscite dal Consiglio europeo non sta solo e tanto nelle persone scelte: sta nel metodo. E il metodo ci dice quanto “intergovernativa”, duramente e ferocemente intergorvernativa, sia diventata l’Ue. Vale a dire: sono i governi, con le loro logiche nazionali, a dettare incondizionatamente l’agenda e i nomi.
E lo fanno in maniera esclusiva ed escludente: vale a dire escludendo gli attori “comunitari”, Commissione ed Europarlamento. Si potrà discutere ad infinitum sul doppiogioco o sulla sprovvedutezza del capogruppo del gruppo Socialisti e Democratici (la nuova denominazione del Pse assunta proprio per accogliere il Pd senza troppi mal di pancia degli ex Dc) a Strasburgo, Martin Shultz, ma la realtà è che i rappresentati del popolo “socialista e democratico” europeo, avevano espresso all’unanimità un candidato, Massimo D’Alema. Scelta buona o cattiva, non è questo il punto: è stata una designazione corale da parte di rappresentati eletti in un organo transnazionale che, appunto, trascende le singole nazionalità. Lo schiaffo del Consiglio Europeo non riguarda la persona D’Alema bensì il Parlamento europeo. Come si permettono questi eurodeputati a ficcare il naso in faccende che competono ai governi nazionali, avranno detto con un’ alzata di spalle i vari primi ministri?
In effetti il punto politico-istituzionale di tutta la vicenda è proprio questo. Per avere un punto di riferimento pensiamo alla nomina del Presidente della Commissione e dei Commissari. Queste nomine sono una prerogativa dei governi ma, passo a passo, il Parlamento europeo ha acquisito sempre maggior peso nel condizionare la scelta, votando la fiducia tanto al Presidente della Commissione quanto alla Commissione nella sua interezza dopo aver passato sulla graticola i candidati commissari ( e Rocco Buttiglione ne sa qualcosa…) . Ebbene, spetta ora al Parlamento, se lo vuole, inserire una dinamica di condizionamento delle nuove cariche di Presidente e Ministro degli Esteri dell’UE per recuperare il terreno perso. La lotta che si continua a combattere nell’Unione europea è tra chi la vede un affare di governi che si coordinano e chi la vede come di una entità sopranazionale che “impone” - piaccia o non piaccia agli isterismi euroscettici – le sue scelte ai governi. Del resto, se i governi non avessero accettato che le norme europee – in determinati campi, s’intende - prevalessero su quelle nazionali, saremmo ancora all’abc dell’integrazione. Alcuni, molti, vogliono far regredire l’Europa a quel livello: resuscitare il peggio di De Gaulle (a suo modo, un grande europeista) coniugandolo con il meglio - o il peggio, non importa - della Thatcher ( comunque una grande euroscettica) per disegnare una Europa delle patrie in cui i governi rifiutano di cedere sovranità nazionale ad una entità sovrananzionale. Questa tendenza, in occasione delle nomine, è emersa in maniera lampante. Il percorso dell’integrazione è sempre più in salita. Forse Altiero Spinelli invece di richiamarsi ad Ulisse avrebbe dovuto riferirsi a Sisifo.
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