Il tema delle relazioni centro-periferia da tempo è diventato, in tutti i Paesi, oggetto di forti tensioni istituzionali, che in qualche caso sfiorano le forme di aperto conflitto. In Italia, in particolare proprio nel corso della gestione dell’epidemia, a molti è parso che tali tensioni abbiano superato il livello di guardia, precedute da diversi episodi di forte contrapposizione, dalla gestione locale degli sbarchi di immigrati alla lunga e mai conclusa sequenza di forme addizionali di autonomia a singole Regioni (il cosiddetto «regionalismo differenziato»). Sembra dunque assai opportuno porsi qualche domanda: quanto di tutto questo è riferibile all’emergenza sanitaria e quanto invece nasce da problemi precedenti? E, in ogni caso, che fare (ivi compreso, che cosa non fare) per venirne a capo o almeno riportare le cose a un livello accettabile?

Si tratta di buone domande legate a preoccupazioni del tutto fondate. Nel cercare di rispondere è bene però chiarire in via preliminare alcuni punti. Intanto il sistema delle autonomie territoriali non è certo limitato alle Regioni e ai loro rapporti con lo Stato: altrettanto importanti, specie per la storia italiana, sono i comuni e le città. Possiamo continuare per comodità (e lo faremo) a usare il binomio centro-periferia, sapendo però che intendiamo Regioni, città, sistemi locali, e consapevoli che si tratta di una terminologia non solo indeterminata nei contenuti (quale centro? e quante periferie?) ma arcaica e concettualmente fuorviante perché la periferia è un dato definibile solo in rapporto a un altro elemento – il centro, appunto – che ne determina funzioni e contenuti (la cosa è ancora più chiara nell’equivalente francese banlieue, lo spazio vuoto circostante le mura nel quale appunto era «bandito» costruire o coltivare il terreno per agevolare la difesa della città). Mentre Stato e realtà territoriali, specie in Italia e per la sua storia, sono ancora sistemi a bassa integrazione reciproca.

Inoltre sull’asse centro-periferia le relazioni tra sistemi politici e tra sistemi amministrativi, che della «periferia» costituiscono il cuore, sono diverse: per lungo tempo tenui le prime, di forte omologazione le seconde. C’è stato un momento (anni Novanta) in cui potevano riallinearsi lungo l’asse Bruxelles-sistemi locali, ma la sterzata intergovernativa della Ue e la deriva tutta domestica della gestione del debito pubblico (e narrazione relativa) hanno potentemente rilanciato il nostro «centro» nella sua versione più tradizionale: la Roma ministeriale e amministrativa. E questo è rimasto.

Prima di considerare la crisi attuale, è dunque dai caratteri del reticolo istituzionale che conviene partire, notando però da subito un dato. I rapporti Stato-Regioni hanno infatti conosciuto fin dall’inizio momenti anche tesi, ma una serie di elementi recenti sposta il discorso dalle relazioni istituzionali al terreno del sistema politico per la crescente soggettività dei presidenti delle Regioni. La lettera aperta di protesta nei confronti del presidente del Consiglio inviata il 29 aprile 2020 al presidente della Repubblica dai presidenti di 11 Regioni del centrodestra (12 con quello della Provincia di Trento) è solo uno degli esempi più recenti. E non si tratta di un caso isolato. Il crescendo dei toni e soprattutto l’uso di strumenti istituzionali in modo conflittuale, non limitato a controversie lungo l’asse centro-periferia, ha negli ultimi tempi una sua continuità: dagli «atipici» referendum popolari indetti da Lombardia e Veneto a sostegno delle proprie iniziative di autonomia differenziata (2017-2018) alle richieste di referendum abrogativo in senso maggioritario della legge elettorale presentate da 8 Regioni a governo leghista (2019), dichiarate inammissibili dalla Corte costituzionale nel gennaio 2020.

La lettera delle 12 Regioni è dunque solo l’ultimo episodio, ma il cambio di passo è notevole perché pratica due registri diversi: da un lato, si agisce sul centro in funzione del rafforzamento della propria autonomia; dall’altro, e in senso opposto, si sacrifica quest’ultima a un pesante e stretto gioco di squadra volto esclusivamente a rafforzare la posizione della propria parte politica nella dialettica dei rapporti tra maggioranza e opposizione al centro. Come del resto è avvenuto, questa volta per dinamiche nazionali (Salvini e governo Conte), nelle elezioni dell’Emilia-Romagna. Il che non è irrilevante e qualche problema lo pone sul terreno della stessa autonomia regionale, non fosse altro per il fatto di generare contrapposizioni anche tra le Regioni, come nel caso dell’autonomia differenziata.

 

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 3/20, pp. 396-407. Il fascicolo è acquistabile qui]